giovedì 29 dicembre 2016

"Un matrimonio combinato dalla scienza può essere la soluzione per trovare il vero amore?"

In un periodo in cui per alcune persone risulta sempre più difficile trovare un partner e costruire una relazione che duri tutta la vita, non stupisce il successo di alcuni programmi tv che propongono ai partecipanti un aiuto per trovare l' "anima gemella". Viste le ricerche infruttuose avvenute nella vita di tutti i giorni, alcuni singles si sono detti: "Tentiamo anche questa, chiediamo un aiuto anche alla tv per trovare una persona con cui stare".
Un programma tv uscito un po' di tempo fa si è posto proprio questi obiettivi e ruotava dichiaratamente intorno a questa domanda: "Un matrimonio combinato dalla scienza può essere la soluzione per trovare il vero amore?".
Prima di fornire la risposta a questa domanda vi racconterò in cosa consisteva il programma e analizzerò gli aspetti sottostanti a una domanda posta in questo modo. Infine fornirò la mia personale risposta alla domanda posta nel titolo di questo articolo.




Come funzionava il programma? 
Sono stati fatti dei casting per un programma. Nei casting veniva spiegato che l'obiettivo del programma era trovare l'anima gemella a chi era single. Tre esperti psicologi e sociologi hanno spiegato che chi acconsentiva a partecipare, avrebbe conosciuto l'anima gemella soltanto il giorno del proprio matrimonio e si sarebbe trattato di un matrimonio a tutti gli effetti, con regolare documentazione firmata. La persona che avrebbero trovato all'altare sarebbe stato qualcuno individuato e scelto dai tre esperti tra i partecipanti al programma, sulla base di una serie di test e colloqui effettuati con tutti i partecipanti. Tali test e colloqui erano orientati a stilare un profilo di personalità dei partecipanti, delineando non solo abitudini, modalità di porsi, modi di pensare e atteggiamenti, ma anche i criteri di preferenza per poter dire che una persona risultava attraente agli occhi di ciascun partecipante. I vari profili di personalità così ottenuti sono stati confrontati dagli esperti, che hanno formato alcune coppie sulla base di una compatibilità desunta dalle similitudini che emergevano nei test di personalità.
Una volta che le coppie sono state scelte e formate dagli esperti, i partecipanti selezionati sono stati informati del giorno del loro matrimonio e si sono recati ad esso senza sapere chi avrebbero trovato. Avrebbero avuto poi cinque settimane di tempo per stare insieme come marito e moglie, anche vivendo sotto lo stesso tetto. Al termine delle cinque settimane avrebbero dovuto decidere se continuare il matrimonio oppure firmare le carte del divorzio.
Gli esperti hanno dichiarato che questo programma rappresentava un esperimento sociale per capire se la scienza potesse creare un matrimonio riuscito tra due sconosciuti.


La domanda del programma e le sue criticità
Vorrei soffermarmi su quattro parti della domanda posta dal programma, ovvero "matrimonio combinato", "combinato dalla scienza", "soluzione" e "vero amore".
1) "Matrimonio combinato": l'idea del matrimonio combinato richiama alla memoria l'antica usanza di combinare i matrimoni, usanza in vigore fino a 150 anni fa circa e poi gradualmente sparita. In passato si combinavano matrimoni per motivi politici (ad esempio per suggellare alleanze tra vari Paesi), per garantirsi una posizione sociale di prestigio, per fare sì che il proprio figlio o figlia fosse legato a qualcuno del suo stesso ceto sociale e non con una situazione economica inferiore, cosa che avrebbe screditato la reputazione dell'intera famiglia. A quel tempo il matrimonio non era un fatto personale, del singolo, ma era una questione che coinvolgeva gli interessi dell'intera famiglia. Se in passato i giovani acconsentivano ai matrimoni combinati era proprio per adempiere agli obiettivi della famiglia e per tutelare gli interessi famigliari. Oggigiorno il matrimonio non è più visto con questa accezione, oggi il matrimonio è inteso come scelta libera del singolo, una scelta di amore e non di costrizione. Non si capisce allora perché gli autori del programma abbiano voluto organizzare incontri proprio iniziando dal matrimonio, utilizzando una convenzione anacronistica e poco aderente alla realtà attuale. Forse perché se l'esperimento fosse riuscito, questo avrebbe confermato il potere della scienza e la presunzione dei professionisti di sapere chi è meglio per chi, alla luce dei loro studi? Oltre tutto oggi le nostre convenzioni prevedono che prima di sposarsi ci sia un periodo di frequentazione, durante la quale le due persone hanno modo di conoscersi e capire se è possibile costruire qualcosa insieme. Partire alla rovescia, dal matrimonio e non dalla conoscenza, sembra fin troppo provocatorio e fuori luogo. Personalmente avrei preferito che gli esperti avessero detto: "Noi abbiamo individuato per voi una rosa di potenziali partner. Iniziate a conoscerli e poi decidete voi se volete stare con qualcuno di loro e sposarvi".

2) "Combinato dalla scienza": affidandosi a un matrimonio combinato dalla scienza nasce un problema, ovvero la deresponsabilizzazione. Ci si fida della scienza perché la si ritiene infallibile, ma rimane il fatto che se qualcuno sceglie un partner per noi, siamo meno disposti a prenderci delle responsabilità e anche ad impegnarci per far funzionare le cose. La domanda sottostante e inconsapevole che ne deriva è questa: "Perché dovrei impegnarmi per una persona che non ho neppure scelto io?". Questo si traduce in atteggiamenti che non vanno nella direzione di mantenere la coppia creata, ma di distruggerla. Questo aspetto era evidente nei comportamenti di alcuni partecipanti del programma che pareva non accettassero la persona con cui stavano, non sapevano risolvere al meglio i conflitti di coppia e non accettavano le responsabilità che il ruolo di coniuge comporta.
Oltre tutto i criteri della scienza in questo caso non sono infallibili, perché i test di personalità utilizzati nel programma delineano un profilo in maniera generale, si tratta di atteggiamenti che la persona mette in atto nella maggior parte delle occasioni quando è da solo, non quando è in coppia. Non si tiene conto del fatto che vi sono anche situazioni che scaturiscono nella quotidianità della coppia, situazioni in cui ognuno di loro reagisce in modo diverso rispetto a quanto emerso dal test di personalità e in modo diverso rispetto al partner, per cui non si crea l'accordo ma invece si genera un conflitto. Sembra che gli esperti abbiano formato le coppie tenendo conto più che altro di eventuali similitudini in situazioni generali, ponendosi solo superficialmente la domanda di come si sarebbero comportate le coppie nel caso di inevitabili conflitti (conflitti che peraltro tutte le coppie hanno). A mio avviso avrebbe avuto più senso organizzare degli incontri finalizzati ad informare le coppie su come affrontare eventuali momenti di criticità e conflitto, cosa che è stata fatta pochissimo dagli esperti. Non è chiaro poi se gli esperti abbiano fatto un'indagine anche delle aspettative e degli obiettivi personali nei confronti della relazione che i partecipanti avevano nell'accettare di prendere parte all'esperimento. Se non vi è condivisione di obiettivi e aspettative, a mio avviso si va poco lontano come coppia. Seppur sono consapevole del fatto che le esigenze televisive richiedano molte semplificazioni sul ruolo della scienza nelle relazioni, in ogni caso tali semplificazioni non giustificano le premesse del programma, che trovo piuttosto inadeguate alle relazioni odierne.

3) "Soluzione": le persone quando iniziano ad avere più di trent'anni si sentono già in una situazione di criticità e di problematicità quando vedono di essere singles mentre i loro amici e amiche sono tutti felicemente sposati o fidanzati. Se si mette in questa domanda la parola "soluzione" non si fa altro che sottolineare il fatto che essere single è negativo e problematico, mentre essere in coppia è la situazione ideale. Ma chi l'ha detto che debba essere per forza così? E se si smettesse di fare paragoni e ci si iniziasse a chiedere come si può vivere bene anche da single, non sarebbe meglio?

4) "Vero amore": cosa voglia dire vero amore, di preciso non si sa. Se si chiede a ogni persona cosa sia il vero amore, probabilmente otterremmo infinite risposte diverse e tutte ugualmente valide. Dunque di quale vero amore stiamo parlando in questo programma? Forse ancora una volta di quello che gli esperti definiscono tale secondo le loro categorie? Inoltre: il fatto che esista un vero amore, implica il fatto che ci sia anche un "falso amore"? Il falso amore è per caso possibile identificarlo con le relazioni che si sono concluse? Quindi le relazioni concluse non contano e la perfezione è solo quella dell'amore che si concretizza in un matrimonio? Eppure anche le relazioni finite male ci servono per imparare qualcosa, quindi forse sarebbe opportuno non sminuirle. Ancora una volta questa visione mi sembra un po' riduttiva e semplicistica.

Alla luce dell'analisi della domanda, mi sembra che ci troviamo davanti a una domanda mal posta, che trasuda criticità e deresponsabilizzazione. Per questi motivi ritengo la domanda fuorviante.



La mia risposta a una domanda posti in questi termini
No, la scienza non può pretendere di combinare due persone e di formare una coppia duratura senza tenere conto delle esigenze, aspirazioni di ciascuno e senza tenere conto dell'imprevedibilità e unicità che scaturisce dall'incontro di due persone diverse. Una scienza che si illude di poter prevedere tutto e di poter decidere per gli altri, a mio avviso è solo una scienza che si autocompiace di se stessa. Il programma mi dà l'impressione che l'obiettivo reale non fosse quello di aiutare alcune persone a trovare qualcuno con cui stare, ma piuttosto dimostrare le capacità della scienza e fin dove essa possa arrivare. Peccato che se gli esperti pensano solo ad autoaffermarsi e non pensano alle esigenze degli altri, perdono di vista proprio la cosa più importante, e cioè il benessere degli altri, cosa che per uno psicologo dovrebbe essere sempre al primo posto. Tra l'altro la scienza in questo programma ci fa proprio una magra figura, visto che nessuna delle coppie formate ha deciso di rimanere insieme alla fine delle cinque settimane di prova.
Uno degli esperti intervistati ha spiegato che era opportuno che fossero gli esperti a scegliere le coppie da formare perché spesso le persone credono di sapere cosa vogliono ma in realtà non sanno davvero di cosa abbiano bisogno, per questo iniziano relazioni destinate a fallire già in partenza. Anche quest'affermazione sottintende la presunzione che gli esperti pensino di sapere ancora meglio della persona stessa ciò di cui lei ha bisogno, tralasciando però un aspetto fondamentale: in una coppia non conta solo sapere di cosa ha bisogno il singolo, conta molto di più affinare le sue capacità di comunicazione con il partner, le strategie di risoluzione dei problemi che possono nascere nella coppia e le capacità di adattamento. Tali aspetti nel programma apparivano solo sullo sfondo molto in lontananza, quando invece si tratta di elementi essenziali.

Ci può essere un modo migliore di formulare la domanda? 
Sì. Si sarebbe potuto dire: "Può la psicologia essere di supporto alla coppia nella scelta del partner e nel riuscire a mantenere una relazione?". Se la domanda fosse stata posta in questi termini, la mia risposta sarebbe stata assolutamente sì, la psicologia può essere di supporto alle finalità di ogni individuo, la psicologia può formulare proposte, far emergere risorse, affinare strategie, senza però sostituirsi alla persona nelle sue scelte. Ma quello che si crea nell'incontro tra due persone è unico, imprevedibile. In altre parole la compatibilità emersa dai test può essere un punto di partenza per suggerire le potenzialità di una coppia che sta bene insieme, ma il come vivere una relazione dipende da ciascuna coppia e sta nell'unicità di ogni incontro.
Alla luce delle considerazioni che ho scritto, se guardate questo programma consideratelo un mero programma di intrattenimento, un modo per passare il tempo, perché non è niente di più di questo.

E voi cosa ne pensate dei matrimoni combinati dalla scienza? Se vi va, scrivetelo nei commenti.

martedì 1 novembre 2016

Pensare troppo alla normalità crea problemi

Consideriamo queste quattro frasi: 
1) “E’ morta una persona a cui ero molto legato, ma non provo tristezza né altri sentimenti negativi, è normale?”;
2) “Ho 20 anni e sto con un ragazzo che mi piace molto caratterialmente ma che dal punto sessuale non mi soddisfa; ho conosciuto un altro ragazzo e ho fatto sesso con lui, va molto bene dal punto di vista fisico, ma non so se è il ragazzo con cui poter costruire qualcosa di serio. Non so decidermi, vorrei stare con entrambi. Mi sento molto in colpa per questo, ma non so cosa fare”;
3) “Ho 40 anni e sono single. Non ho mai avuto una ragazza. Vorrei sapere se sono l’unico o se ci sono altri nella mia stessa situazione”.
4) “Ho visto su una bancarella un braccialetto che mi piace ma devo aspettare il mio ragazzo… Non so se posso comprare il braccialetto, perché di solito le cose me le compra lui e in cambio io devo dargliela, però questa settimana ho il ciclo, dunque non posso soddisfarlo… per questo non so se posso acquistare il braccialetto”.

Cosa hanno in comune le prime tre situazioni? E in cosa differisce la quarta dalle altre tre? Scopriamolo in questo articolo.


Tutte le prime tre frasi sono tratte da storie e da domande realmente poste a psicologi e tutte e tre riportano implicitamente il confronto con una situazione presunta “normale”: si ritiene che sia normale provare tristezza quando muore qualcuno, si reputa normale stare con una persona sola ed essere monogami, si giudica normale a 40 anni avere una famiglia o per lo meno avere una fidanzata. Le tre persone delle prime tre frasi però hanno notato che le loro situazioni e i loro pensieri non aderiscono a ciò che comunemente è ritenuto normale, per questo si pongono dei problemi. I loro problemi e dubbi non scaturiscono tanto dalla situazione in sé che stanno vivendo, ma piuttosto dal confronto che attuano con gli atteggiamenti e comportamenti comunemente ritenuti “normali”.

Ma esattamente che cos’è la normalità? Il dizionario la definisce così: “Condizione riconducibile alla consuetudine o alla generalità, interpretata come regolarità o anche ordine”. In sintesi potremmo dire che si reputa normale ciò che compie la maggior parte delle persone o anche le abitudini che la società e la cultura ci impongono. La normalità se per alcuni può essere rassicurante, ad altri invece può creare problemi. Chi non segue la cosiddetta normalità ha per forza un problema psicologico? Non sempre. Nei casi che ho citato, le persone potrebbero avere una vita tranquilla, serena e soddisfacente, ben integrata con se stessi e con gli altri anche non aderendo a ciò che è considerato normale. Invece di proporre lunghi e articolati interventi psicologici per riportare le persone delle prime tre frasi ad aderire alla normalità, è più salutare per loro agire in modo da non dare troppa importanza alla normalità e al confronto con essa, ovvero agire come essi stessi si sentono di fare, senza preoccuparsi di quello che fa la maggior parte delle persone. Nel primo caso potremmo, per esempio, riflettere con la persona in questione su quali significati attribuisce alla vita e alla morte: potremmo scoprire allora che per lei vivono i ricordi della persona scomparsa, dal defunto ha appreso tante cose che ora rivivono in lei e che per questi motivi non vive il lutto con tristezza. Anche se la maggior parte delle persone vive il lutto attraverso determinate fasi che prevedono rabbia, negazione, tristezza e accettazione, non è detto che per tutti debba essere così.

Nel secondo caso, per portare la ragazza a superare il senso di colpa derivante dalla frequentazione di due uomini potremmo chiederle (considerando il suo desiderio forte di frequentarli entrambi): “Immaginiamo un futuro dove tu li frequenti entrambi. Che futuro potrebbe essere? Come vedi il rapporto tra voi tre? Che tipo di situazione viene a crearsi? Descrivila”. Le coppie aperte e non monogamiche esistono. Ci sono persone che in tre vivono serenamente il proprio amore, anche se sono meno frequenti della monogamia. Si tratta di essere chiari e definire con sincerità le regole. La ragazza potrebbe scoprire che uno dei due uomini non accetta questo tipo di regole autoescludendosi lui stesso, e allora la sua scelta sarebbe facilitata. Ma se non le diamo la possibilità di immaginarsi uno scenario in cui frequenta tutti e due, ella non farà mai la sua scelta, rimanendo preda del suo senso di colpa. Andrebbe detto poi alla ragazza in questione che almeno una persona su quattro almeno una volta nella vita ha immaginato di stare con qualcun' altro mentre era già impegnata in una relazione. Questi dati provengono da interviste condotte sul tema delle relazioni attendibili e anonime. Forse questi aspetti non detti per paura di deviare dalla normalità, non rientrano nella normalità anche perché nessuno ha il coraggio di ammetterlo, per timore di essere giudicato proprio in base a una presunta normalità che a volte si traduce anche in moralità e giudizi di valore per chi non aderisce alla norma.
Sull’uomo della terza affermazione, la risposta che si potrebbe fornire potrebbe essere la seguente: basta informarlo e rassicurarlo con dati reali sulla condizione dei single. In Italia c’è una persona single su tre, anche dopo i 40 anni. Quindi non è certamente l’unico in quella situazione. Anzi, il numero delle persone single sembra sia destinato ad aumentare in futuro, secondo alcune stime. Una volta rassicurato di non essere l’unico in quella condizione, la persona sta subito meglio.



Ma anche se si fosse gli unici a sperimentare un certo vissuto, teniamo presente una cosa: tutto ciò che può accadere, accadrà. Per quanto strana e insolita sia, quella cosa ti sta capitando e solo per il fatto che ti sta capitando, significa che un senso ce l'ha, ha senso per te. Il fatto che ti sta capitando, la rende possibile e assume senso alla luce di te stesso, della tua storia, delle tue esperienze, del tuo modo di dare senso a ciò che ti circonda. Quella cosa unica che stai sperimentando rende te stesso quello che sei, ti rende diverso da tutti gli altri: in questo sta la sua bellezza.

Nelle risposte che ho ipotizzato per le persone delle prime tre frasi che cosa ho fatto esattamente? Ho ricostruito con loro un senso di ciò che loro stavano vivendo, ho valorizzato la loro singola esperienza non giudicandoli e non cercando di “aggiustarli” riconducendoli a una presunta “normalità”, ma ho cercato di comprendere ciò che stavano vivendo e provando e quali erano i loro bisogni in quel momento.

Ed ora veniamo alla quarta frase: in cosa differisce dalle altre? Di primo acchito si rimane forse un po’ stupiti nel leggere che i due partner hanno fondato la loro relazione nei termini di una sorta di scambio: regali e mantenimento in cambio di prestazioni sessuali (anche se non sono rare le persone che fondano la coppia su questi termini)… Sono certa che alcuni di voi leggendo avranno pensato: ma l’amore in tutto questo dove sta? Ma lei non potrebbe essere un po’ più indipendente e comprarsi da sola il braccialetto che le piace? Al di là della particolarità della situazione e delle domande che possono sorgere su essa, ci rimane un’evidenza: i due partner hanno trovato un equilibrio per loro ottimale, forse si tratta di un equilibrio che non rispecchia i canoni di una relazione cosiddetta “normale”, ma nulla toglie che si tratta di un equilibrio che a loro due sta bene. I due paiono soddisfatti della loro relazione, quindi chi siamo noi per giudicarli?


E voi? Avete sperimentato situazioni in cui vi sentivate in conflitto con ciò che è considerato normale? Come avete superato quel conflitto? Se volete, scrivetemelo nei commenti.

NB: le frasi riportate nell'articolo sono tutte tratte da storie vere. Le persone che le hanno pronunciate hanno espresso il loro consenso alla pubblicazione in forma anonima.

martedì 11 ottobre 2016

Osservare il problema da una diversa prospettiva: due esercizi

A volte alcune persone quando sentono un disagio o un problema, tendono spesso a identificare il problema con loro stessi, come se il problema fosse una parte di loro. Frasi come "Sono depresso", "sono insicuro", "sono ansioso" sono alcuni esempi di questo processo in cui si passa dal sostantivo (depressione, insicurezza, ansia) all'aggettivo che ci si autoattribuisce e che quindi si sente come parte di sè e della propria identità. E' bene ricordare che la persona non è il problema, al contrario il problema rimane il problema. La nostra mente spesso però non segue la logica, c'è bisogno allora di esercizi immaginativi per cogliere questo processo e per riuscire a pensare al problema come qualcosa di esterno a se stessi e non come qualcosa che ci caratterizza. Di seguito due esercizi a tal proposito.



1) L'esercizio dell'esternalizzazione, concetto già formulato dallo psicoterapeuta Michael White negli anni Ottanta: consiste nell'immaginare il proprio problema (depressione, insicurezza, ansia o altro) come un'entità esterna a sè. Il terapeuta chiederà allora alla persona di immaginare e descrivere il suo problema come se fosse un qualcosa di vivo ed esterno alla persona: un animale, una pianta, un fiore, una persona, ecc. Successivamente altre domande saranno di specificazione riguardo alla "nuova veste" del problema: come è fatto? Che aspetto ha? Che colori ha? come si muove? Come è vestito? In quali momenti si presenta?
Quali effetti terapeutici genera l'uso dell'esercizio dell'esternalizzazione? Il problema viene contestualizzato in maniera più precisa, appare alla persona come meno predominante. Inoltre, dato che la persona non lo vede più come una parte di sè, è maggiormente in grado di contrastarlo, trovare strategie per fronteggiarlo, costruire storie di sè alternative e maggiormente orientate al proprio benessere e adattamento e permette di migliorare la sua condizione senza pensare che dentro di lei ci sia qualcosa di negativo o sbagliato che dove a tutti i costi cambiare.

2) Il secondo esercizio che propongo si collega al precedente ed è legato al pensiero di James Hillman, grande psichiatra e psicoterapeuta del Novecento. L'esercizio consiste in questo: dopo che nell'esercizio precedente abbiamo individuato la nuova forma del nostro problema, viene avviato un dialogo con esso. Il terapeuta chiederà alla persona che ha davanti di ringraziare ad alta voce il problema per ciò che di utile il problema fa per lei. Questo esercizio porta a ridimensionare il problema e ad attribuirgli un altro significato, immaginandolo una cosa per alcuni aspetti utile per noi. Come sosteneva Hillman: se riconosco il mito (cioè l'immagine, la personificazione del problema) che mi agisce, questo è il primo passo per ricostruire il mio rapporto con la realtà. 
Una nota per i più curiosi: ogni tecnica, ogni esercizio proposto è legato a un particolare modo di intendere i problemi psicologici. Per Hillman i problemi dell'anima, che sono oggetto del lavoro psicologico, manifestano i problemi della singola psiche alle richieste e pressioni del luogo sociale in cui il suo portatore vive e agisce, e i conflitti tra carattere, vocazione e destino sono proprio quelli tra singolo individuo e collettività in cui vive. A questo si collega la teoria che afferma che i problemi psicologici che le persone sentono, rappresentano ciò che rende ogni persona unica e diversa da tutte le altre e come tali vanno valorizzati e accolti, più che combattuti.


Un esempio di utilizzo dei due esercizi citati: di recente una persona mi ha raccontato che immagina la sua ansia da prestazione come un ghepardo in corsa. Il ghepardo, mi ha spiegato, non è stato scelto a caso: è risaputo che esso sia l'animale più veloce della savana. Nella seconda parte dell'esercizio questa persona ha ringraziato il ghepardo perché lo attiva, lo rende efficiente, in grado di dare il massimo e di puntare al raggiungimento degli obiettivi. La persona in questione punta molto al raggiungimento dei risultati e degli obiettivi e la sua ansia è legata a questo aspetto. Dopo aver personificato la sua ansia, la persona ha espresso con me il suo apprezzamento per questo esercizio e mi ha detto che gli ha permesso di vedere la sua ansia in modo diverso e più positivo rispetto a prima. E' un primo risultato importante. Il lavoro andrà avanti lavorando sul suo modo di intendere risultati, obiettivi e aspettative degli altri su quanto la persona in questione può fare in maniera efficace. L'obiettivo finale è un miglior adattamento della persona al suo contesto di vita, di lavoro e di relazioni. Ciò che mi darà la prova di un eventuale cambiamento avvenuto sarà la nuova storia che la persona costruirà su di sè e sulla ansia.
Invito chi ha letto questo articolo a provare questi due esercizi su di sé e invito chi vuole a condividere cosa ne pensa di essi.


Riferimenti bibliografici:
-Hillman James, Il codice dell'anima: carattere, vocazione, destino (Adelphi);
-White Michael, La terapia come narrazione. Proposte cliniche (Astrolabio).

lunedì 5 settembre 2016

Cosa ci insegnano gli atleti olimpici? (seconda parte)

Nello scorso articolo (Cosa ci insegnano gli atleti olimpici?) ho riportato alcune storie di atleti olimpici con l’obiettivo di far comprendere come esse e come lo sport più in generale possono fornirci insegnamenti e spunti utili anche per la vita di tutti i giorni, in altri ambiti, per condurre una vita migliore, all’insegna del benessere. Abbiamo osservato storie di passione, di impegno, di orientamento all’obiettivo, di perseveranza nonostante le difficoltà. 
Oggi attraverso altre storie di atleti olimpici parleremo di opportunità per realizzarsi, di gioco corretto (fair play), di superamento delle barriere, di dare il massimo, di conoscere se stessi, superando i propri limiti. 

1)Opportunità per realizzarsi: Maryan Nuh Muse, atleta somala, è arrivata alle Olimpiadi per correre e per gareggiare con altre atlete: questo sembrerebbe scontato e naturale (del resto, alle Olimpiadi si va proprio per gareggiare con altri atleti provenienti da tutto il mondo), ma per Maryan non è affatto scontato. Pare, infatti, che lei sia l’unica atleta donna somala che ha potuto partecipare alle Olimpiadi. In Somalia, a causa delle condizioni politiche, economiche e culturali che non consentono alle donne di emanciparsi completamente, non è facile poter praticare sport ed allenarsi ad alti livelli, soprattutto se si appartiene al genere femminile. 
Maryan (nella foto a destra) è arrivata alle Olimpiadi e già questo è per lei motivo di orgoglio e un’occasione per realizzarsi, nonostante le difficoltà che incontra nel suo Paese di origine, ma c’è di più: Maryan raccoglie l’eredità ed ha come fonte di ispirazione Samia, un’altra atleta somala che come lei vedeva nella corsa e nello sport un’opportunità per realizzarsi ed emanciparsi. Samia è purtroppo tragicamente deceduta nel mar Mediterraneo, durante una traversata a bordo di un gommone che avrebbe dovuto condurla in Europa. Non è chiaro se il viaggio in mare di Samia fosse legato al desiderio di sfuggire alle condizioni economiche e politiche del suo Paese di origine oppure se si trattasse di un viaggio legato allo sport, per allenarsi nelle migliori strutture sportive europee e per partecipare alle gare olimpiche di Londra del 2012. In ogni caso, Maryan fa tesoro dell’esperienza di Samia e oggi, preparata dallo stesso allenatore della sua compatriota, scorgiamo in lei lo stesso modo di correre, oltre che una notevole somiglianza fisica, ma soprattutto troviamo in lei la stessa voglia di autorealizzarsi attraverso lo sport.

Quale insegnamento possiamo trarre per noi? Una volta che scopriamo un’attività che ci piace e per cui siamo portati, cerchiamo di fare di tutto per realizzarci completamente con essa, anche se le condizioni del nostro ambiente sono sfavorevoli. Cerchiamo anche di non sottovalutare le possibili conseguenze di un’azione molto rischiosa. Può tornare utile a tal proposito immaginare possibili scenari futuri, cercando di anticiparne alcuni possibili risultati. Immaginare tutto ciò ci permette di arrivare più preparati e di affrontare meglio le difficoltà.

2)  Gioco corretto, secondo le regole (fair play): quest’anno alle Olimpiadi di Rio l’intera squadra di atletica russa è stata esclusa dai giochi per doping. Fare uso di sostanze in grado di aumentare chimicamente le proprie prestazioni è scorretto e non equo, rispetto a chi si allena senza far uso di tali sostanze. i risultati del test antidoping erano positivi per alcuni atleti russi, inoltre altri atleti avevano rifiutato di sottoporsi ai controlli ed altri ancora avevano cercato di falsare il test, procurandosi urine pulite altrui e spacciandole come proprie. Per tutte queste ragioni l’Associazione Internazionale delle federazioni atletiche (IAAF) ha deciso di squalificare l’intera squadra di atletica russa. Tale esclusione dei giochi ha suscitato varie polemiche da parte di atleti russi in regola e da parte del governo. La decisione della IAAF è conseguente anche al fatto che erano state fornite scrupolose linee guida riguardo al doping, ma sono state completamente ignorate da molti atleti russi, inoltre troppi episodi sospetti si sono accavallati. Certo, dispiace per gli atleti russi che non hanno fatto uso di sostanze e che ci hanno dovuto rimettere, non potendo partecipare, ma si spera che quanto accaduto possa essere considerata un’occasione per riflettere e un modo per disincentivare l’uso di sostanze dopanti.
Quale insegnamento possiamo trarre per noi? E’ meglio evitare scorciatoie e modi che ci permettono di raggiungere risultati in maniera apparentemente più facile. Seguire le regole è un modo per rispettare se stessi e gli altri. Prima o poi i nodi vengono al pettine e a quel punto chi ci rimetterà sarà sia chi non ha rispettato le regole, sia chi non si è adoperato per farle rispettare. Chi rimane in silenzio, nonostante sia in regola, spesso contribuisce al mantenimento del problema proprio perché non si esprime.

   3) Superamento delle barriere: lo sport unisce popoli e nazioni, supera le differenze religiose, culturali, di genere e di razza. In campo non conta da dove vieni o in cosa credi, conta invece il cercare di fare del proprio meglio, nel rispetto degli altri e delle regole. 
    Alle Olimpiadi di Rio troviamo esempi di questo atteggiamento, ma anche del suo contrario. Da un lato il judoka egiziano Islam El Shehaby ha rifiutato di stringere la mano all’avversario israeliano che l’ha battuto, Or Sasson (foto a destra): questo ha fatto sì che El Shehaby fosse pesantemente sanzionato, poiché il gesto è stato considerato antisportivo e contrario allo spirito di amicizia presente nei valori olimpici; anche questo ci ricorda che il rispetto per l’avversario e per la sua provenienza fa parte delle regole da rispettare di cui parlavo al punto 2.  
   Dall’altro lato troviamo invece un bel gesto tra due atlete di differenti provenienze: la neozelandese Nikki Hamblin e l’americana Abbey D’Agostino. Abbey è caduta durante le corse di qualificazione dei 5000 metri e ha accusato grande dolore e fatica ad alzarsi. Nikki l’aveva appena superata, ma vedendola sofferente e in difficoltà ad alzarsi, è tornata indietro per aiutarla, sostenerla e incoraggiarla a riprendere la gara. Entrambe le atlete, nonostante il tempo perso per la caduta, sono riuscite poi a recuperare e a qualificarsi entrambe per le finali.


Quale insegnamento possiamo trarre per noi? Potremmo utilizzare l’esempio di Abbey e Nikki come spunto di riflessione e chiederci come incentivare la comunicazione e cooperazioni tra popoli, come favorire l’integrazione tra persone provenienti da zone e culture diverse. La società in cui viviamo oggi è sempre più multietnica e sempre più multiculturale e lo sarà anche in futuro: come possiamo meglio comprendere chi viene da altri luoghi? Cosa possiamo offrire per aiutare gli stranieri ad ambientarsi? Ed essi cosa possono fare per riuscire a vivere meglio in un luogo sconosciuto che non è la loro patria?

  4) Dare il massimo: quando si gareggia la voglia di vincere è tanta. Lo sa bene Shaunae Miller, atleta delle Bahamas, che nella corsa dei 400 metri piani ha superato l’avversaria letteralmente tuffandosi sulla linea del traguardo. La regola, infatti, stabilisce come vincitore l’atleta che supera la linea del traguardo con qualsiasi parte del corpo: Shaunae ha preso alla lettera la regola, adottando una soluzione creativa che le è valsa la medaglia d’oro con distacco di soli 7 centesimi di secondo dalla seconda arrivata.
Quale insegnamento possiamo trarre per noi? Occorre persistere e dare il massimo per ottenere i migliori risultati. Qualche volta adottare soluzioni creative che contraddistinguono noi e ciò che facciamo può essere la via vincente che porta al successo.

5)  Conoscere se stessi, superando i propri limiti: Conosci te stesso” è una massima presente fin dall’epoca della Grecia antica. Applicata al mondo dello sport, assume due significati: porre attenzione costante al proprio fisico e al proprio allenamento e conoscere le proprie condizioni psicologiche per arrivare alla gara preparati al meglio dal punto di vista fisico e mentale. Lo sanno bene Tania Cagnotto e Francesca Dallapè, tuffatrici che alle Olimpiadi di Rio hanno ottenuto la medeglia d’argento nei tuffi sincronizzati dal trampolino di 3 metri. 
Per sbagliare un tuffo basta poco: basta mettere male anche solo un piede o una mano, basta sbagliare anche di poco lo slancio o la forza messa nella rotazione. La cosa si complica se occorre realizzare un tuffo in sincronia con un compagno di squadra: tempi e movimenti lì devono essere coordinati alla perfezione. Per eseguire un tuffo sincronizzato perfetto serve dunque un duro e lungo allenamento, sia fisico che mentale. 


Sia Tania sia Francesca hanno affermato in alcune interviste che per la loro preparazione mentale si avvalgono di uno psicologo dello sport. Francesca ha raccontato: Ci sono due tipi di paura, quella fisica che devi superare da piccola quando impari un tuffo nuovo e prendi una panciata o una schienata. Mica un piacere. E quella psicologica ad alto livello, che è paura soprattutto di fallire: contro la seconda nel 2007 ho chiesto aiuto a uno psicologo dello sport. Tendevo ad arrivare troppo carica in gara, senza riuscire a tenere in equilibrio adrenalina e concentrazione, volevo sempre spaccare il mondo e finivo per sbagliare. Ora mi sento più sicura.Ho imparato a esercitare controllo e soprattutto ad accettare l’errore”.

Quale insegnamento possiamo trarre per noi? Conoscere se stessi e l’ambiente che ci circonda permettono di capire quali soluzioni possiamo trovare per risolvere la nostra situazione e quali risorse mettere in campo per adattarci. L’impegno per conoscere se stessi è costante e qualora da soli non riusciamo a perseguire i nostri propositi di conoscenza e di adattamento a ciò che il nostro ambiente ci impone, è possibile avvalersi della consulenza di un professionista psicologo, che può permetterci di conoscerci meglio, di comprendere cosa ci spinge a reagire in un modo poco utile in una certa situazione, che ci permette di far emergere le nostre risorse e di trovare soluzioni nuove ai nostri problemi.

Si conclude qui l’articolo sugli insegnamenti degli atleti olimpici. Se vi va, fatemi sapere nei commenti quali altri insegnamenti secondo voi si possono trarre da queste storie e quale storia vi ha colpito o vi è piaciuta di più.

giovedì 25 agosto 2016

Cosa ci insegnano gli atleti olimpici? (prima parte)


Le Olimpiadi di Rio 2016 si sono da poco concluse. Ogni quattro anni si rinnova quest'evento in cui i migliori atleti dei cinque continenti si sfidano in competizioni sportive in varie discipline. Per arrivare a livelli sportivi cosí elevati occorrono predisposizione fisica, passione, impegno, disciplina, costanza, resistenza ed altri elementi. Di seguito vedremo quali e in che modo gli insegnamenti delle atleti olimpici possono tornarci utili nella vita di tutti i giorni e aiutarci a condurre una vita all'insegna di un maggior benessere. Osserveremo questi insegnamenti traendoli anche dalle storie di alcuni atleti.

1) Passione: tutti i grandi atleti sono accomunati da una grande passione per lo sport che praticano. Lo amano cosí profondamente da farne, col tempo, uno degli obiettivi e ragioni che danno senso alla propria vita. Come inizia questa passione? Generalmente da bambini. È il caso, per esempio, di Carlo Senorer, classe 1943, campione di sci e vincitore di numerose gare di slalom gigante, slalom speciale e discesa libera. Negli anni Sessanta partecipó anche alle Olimpiadi invernali, ottenendo buoni piazzamenti. Senorer, originario della Val Gardena, viene da una famiglia numerosa ed è il penultimo di 11 fratelli. Proprio perché la gestione dell'albergo di famiglia era stata affidata ai fratelli maggiori, a Carlo venne data la possibilitá di fare l'atleta. Inizió a praticare lo sci alle elementari e gli piacque talmente tanto che quando il suo maestro chiese chi voleva fermarsi al pomeriggio per delle lezioni supplementari, lui accettó entusiasta. Da allora cambió tre maestri di sci e ottenne i primi risultati importanti in ambito sportivo giá da adolescente.
Nonostante la rottura dei legamenti Carlo Senorer, nel 1965, riuscí a partecipare ai Mondiali del 1966 in Cile, dove a Portillo si aggiudicó la medaglia d'oro nello slalom speciale (in foto a destra). Intorno ai 30 anni si ritiró dalle competizioni agonistiche e ora dirige un hotel nelle Dolomiti, chiamato Portillo1966 in onore della vittoria in Cile. Oggi, a piú di 70 anni, scia ancora per passione e a chi glielo chiede risponde: “Ad andare giú in discesa con gli sci, che ci vuole?”, come se per lui fosse la cosa piú naturale del mondo.
 
Quale insegnamento possiamo trarre per noi? Trovare qualcosa che ci appassioni, un'attivitá che ci faccia stare bene mentre la svolgiamo migliora le nostre giornate e il nostro umore. Puó essere uno sport, un lavoro, un passatempo e molto altro. Se si tratta di uno sport, esso ha benefici sia a livello fisico che a livello mentale. Una passione poi unisce le persone accomunate da essa: possono crearsi grandi amicizie che si mantengono anche molti anni, ci si confronta sulla passione comune, ci si dá consigli e ci si conforta, arrivando talvolta anche a condividere pezzi di vita e momenti che vanno oltre la passione comune.  


2) Impegno, disciplina e costanza: sapete per quali motivi gli atleti piangono alle Olimpiadi? Ci sono due casi: lacrime di gioia e vittoria oppure lacrime per un errore, per una sconfitta, per essere andati vicini alla vittoria, ma averla persa per un soffio, magari per una breve disattenzione. In entrambi i casi, le lacrime vengono dal fatto che gli atleti sanno quanto tempo hanno dedicato per arrivare a quei risultati, quanto tempo hanno impiegato per gli allenamenti, quanto impegno ci hanno messo, con quanta disciplina e costanza hanno lavorato, spingendo spesso il loro corpo oltre i limiti e, in molti casi, quanto sono stati attenti anche all'alimentazione. 
Se da un lato in queste Olimpiadi di Rio troviamo le lacrime di vittoria di Neymar (in foto a destra), calciatore brasiliano, che ha segnato il rigore che ha messo al tappeto la Germania, regalando al Brasile il primo oro olimpico, dall'altro lato ci sono le lacrime amare di Vanessa Ferrari (in foto a destra), 25enne bresciana, da molti considerata la miglior ginnasta italiana, che per la terza volta alle Olimpiadi ha sfiorato il podio, ma non ha ottenuto medaglie. Sembra abbia perduto la possibilitá di salire sul podio per un passo all'indietro di troppo durante la sua prova. Sapeva di poter vincere e aveva tutte le carte in regola; perdere il podio per la disattenzione di un istante le ha lasciato una grande amarezza.  

Quale insegnamento possiamo trarre per noi? Se un'attivitá ci piace, siamo piú disposti a dare il 100% di noi stessi per fare il nostro meglio. Dall'impegno, dall'applicarsi con disciplina e costanza ad un'attivitá, giorno per giorno, arrivano i migliori risultati. Nonostante l'impegno, peró, non mancano le delusioni. Anche i fallimenti fanno parte del nostro cammino.


3) Credere in se stessi ed essere orientati all'obiettivo: sono altri due elementi fondamentali che contraddistinguono chi pratica sport ad alti livelli. Un esempio su tutti: Ivan Zaytsev, soprannominato “lo zar”, pallavolista di origini russe e cittadinanza italiana. Lo abbiamo visto in azione alle Olimpiadi di Rio con battute imprendibili lanciate alla velocitá di 127 km/h, con schiacciate in cui si è distinto per la sua elevazione e forza, con murate impenetrabili alle schiacciate degli avversari. Alcuni lo ritengono l'eroe che ha condotto la squadra italiana di pallavolo alla finale olimpica e sicuramente rimane tra i protagonisti di queste Olimpiadi, contraddistinguendosi per una grinta, una voglia di vincere e un orientamento al risultato che non passano inosservati. 
Quello che peró non tutti sanno è che questa grinta, questo credere in sé e questo orientamento all'obiettivo Ivan non li ha sempre avuti. Ivan è figlio, infatti, del campione olimpico di pallavolo Vjačeslav Zajcev che ha vinto una medaglia d'oro e due argenti con la squadra sovietica alle Olimpiadi tra il 1976 e il 1988. La madre di Ivan, Irina Pozdnjakova, è una nuotatrice famosa che si è distinta tra gli anni Sessanta e Settanta negli europei e nelle gare sovietiche. Se da un lato l'essere figlio di due campioni sportivi ha permesso a Ivan di ritrovarsi con un fisico dotato e con le migliori premesse per iniziare una carriera sportiva, dall'altro lato la storia delle vittorie del padre ha pesato molto inzialmente su di lui. La moglie di Ivan, infatti, racconta in un'intervista che quando l'ha conosciuto, sui campi di beach volley, Ivan si portava dietro il nome del padre e voleva affrancarsi da esso, dimostrando che poteva ottenere buoni risultati non perché era “figlio di...”, ma grazie alle proprie capacitá. C'è stato un periodo, inoltre, in cui Ivan avrebbe voluto ritirarsi dalla pallavolo, per costruire da solo la propria strada e la propria identitá, seguendo una strada diversa da quella del padre, ma pare che grazie alle conversazioni con la moglie e con altri amici e compagni di squadra, abbia deciso di rimanere, cercando di capire chi poteva diventare e cosa poteva realizzare a prescindere dal nome che si portava dietro. Ha costruito cosí giorno per giorno la sua carriera sportiva cercando di affrancarsi dai successi del padre e cercando semplicemente di dare tutto se stesso per raggiungere i migliori risultati con le sue sole forze e a quanto pare ci sta riuscendo.  
Una curiositá: Ivan Zaytsev e la moglie Ashling Sirocchi si sono conosciuti proprio sui campi di pallavolo (a proposito di passione che unisce le persone, di cui parlavamo prima!).
 (Nella foto qui sotto: il pallavolista Ivan Zaytsev salta e schiaccia) 

Quale insegnamento possiamo trarre per noi? Il cambiamento, il definire chi siamo e cosa possiamo fare dipende da noi. Credendo in noi stessi e nelle nostre possibilitá possiamo realizzare qualcosa di positivo per noi stessi, indipendentemente dal nostro passato, indipendentemente da chi ci ha preceduto. Occorre restare focalizzati su ció che possiamo fare noi da soli, a piccoli passi, sugli obiettivi che vogliamo raggiungere. Qualche dubbio durante il percorso puó capitare e i dubbi si possono risolvere svolgendo attivitá concrete necessarie per giungere dove vogliamo arrivare, invece che continuando a interrogarci e a porci domande, rimanendo con le mani in mano.
 

4) Perseveranza e niente paura, nonostante le difficoltá: la vita degli sportivi non è tutta rose e fiori. Lo sa bene Daniele Lupo, che, assieme al compagno Paolo Nicolai, si è aggiudicato l'argento nel beach volley in queste Olimpiadi di Rio. L'anno scorso, infatti, mentre si stava preparando per i mondiali di beach volley, Daniele accusó un problema al ginocchio e le analisi rivelarono che si trattava di un tumore osseo. Fu operato d'urgenza e per fortuna non furono trovate metastasi. Non ha dovuto sottoporsi alla chemioterapia e questo ha reso il suo recupero piú veloce. 
In un'intervista per la Gazzetta dello Sport Daniele Lupo (in foto a destra) ha rivelato che i giorni dell'attesa dopo l'intervento sono stati i più duri: "Sono giorni in cui fai pensieri che mai avevi nemmeno sfiorato". Alla vigilia della finale di beach volley in queste Olimpiadi di Rio ha dichiarato: "Certe cose accadono per insegnarti qualcosa. Io ora non ho più paura di nulla, quella storia mi ha rafforzato come persona e come atleta". 

Quale insegnamento possiamo trarre per noi? Le difficoltá nel percorso della vita non mancano: imprevisti, malattie, ritardi, inghippi, porte chiuse in faccia, qualcuno che ci mette i bastoni tra le ruote… è importante peró, nonostante tutto, andare avanti per la propria strada, fronteggiando anche la paura. Ció che non ci distrugge ci fortifica, sosteneva qualcuno. E il coraggio non è assenza di paura, il coraggio è la paura vinta, affermava qualcun'altro. Cerchiamo di ricordarcelo.
 

Si conclude qui la prima parte dell'articolo dedicato agli insegnamenti di vita che possiamo trarre dalle storie degli atleti olimpici. Quale storia vi ha colpito di piú? Quali altri insegnamenti possiamo trarre per noi, per la nostra vita di tutti i giorni? Se vi va, scrivetelo nei commenti.
Restate sintonizzati per leggere anche la seconda parte dell'articolo nei prossimi giorni!

lunedì 18 aprile 2016

Psicologia del tradimento - seconda parte

Nel precedente articolo (reperibile qui: psicologia del tradimento - prima parte) ho introdotto il tema del tradimento, la sua etimologia, elencato alcuni tipi di tradimento soffermandomi principalmente su quello fisico e sessuale di coppia, che è quello per cui più spesso le persone arrivano dallo psicologo. Ho riassunto le principali statistiche e dati sui tradimenti e le principali ragioni per cui qualcuno decide di tradire; ho infine descritto brevemente tre modi di tradire. Oggi parlerò del ruolo della persona tradita, dei sentimenti dell'amante, dei fattori psicologici che ruotano attorno al tradimento, del mito del "chi ama non tradisce" e di come superare un tradimento. Buona lettura!




5. Il ruolo della persona tradita e gli elementi psicologici che permettono al tradimento di avvenire 
Generalmente si ritiene che chi viene tradito sia una vittima, mentre il traditore gioca “la parte del cattivo” nella storia. Secondo Aldo Carotenuto, il traditore e il tradito sono complici di quanto accade. Se il tradito non smette di aggredire e il traditore non smette di fornire rassicurazioni si arriva prima o poi al disfacimento della coppia. Chi tradisce è talora vittima di colui che è stato ingannato. Quest’ultimo (che subisce) inconsapevolmente è corresponsabile, perché scaricando tutti gli aspetti negativi del rapporto sulle spalle di chi ha perpetrato l’inganno, facendosi giustiziere spinge l’altro al tradimento. Il tradimento è un’azione disonesta, di mancanza di rispetto. La fedeltà è un valore da perseguire, ma non deve essere dettata dalla paura di perdere l’altro, quanto dalla scelta di essere onesto (F. Nanetti, 2010). Mai dire: “Non tradirmi, starei troppo male”. Questo distrugge il rapporto. L’amore rende possibile il tradimento e il suo superamento. Il traditore seriale è spesso incapace di fondare la propria esistenza intorno ad un proprio centro interiore e ha la compulsione a riempire i vuoti con punti di riferimento esterni, inizialmente il partner, poi qualcos'altro, in una continua fuga da se stesso. Secondo alcuni autori, il suo problema è quindi il vuoto che sente dentro e la sensazione di inutilitá. mentre il traditore nega e scappa, perché non riesce a stare in ascolto di sé, il tradito pretende e attanaglia l’altro a causa della sua insicurezza e, d’altra parte, l’amante rincorre e sogna il mondo che non c’è. Nessuno dei tre, in definitiva, è presente a se stesso e nessuno è in grado di rimanere da solo, di fare i conti con la propria incapacità di bastare a se stesso. Il tradimento porta con sé un senso di perdita e di peccato che attanaglia la felicità delle coppie. Eppure il tradimento viene mantenuto, secondo Hillman (1990), da tre difese sbagliate
1) la negazione di ogni possibile percezione positiva dell’altro
2) il cinismo del tradito che mostra diffidenza , disprezzo verso l’altro e nel contempo collude con un nemico interno che gli impedisce definitivamente di vivere e di amare
3) il potere paranoico del tradito, che controlla il traditore con la diffidenza e il ricatto, chiedendo prove di devozione e fedeltà, chiedendo la sua sottomissione. In sintesi potremmo quindi affermare che il tradimento è un gioco relazionale, dove il traditore e la persona tradita contribuiscono entrambi a mantenere la possibilitá che uno tradisca l'altro/a. 


6. “Chi ama non tradisce”? 
Molte persone ritengono che se qualcuno ti tradisce, significa che non ti ama. Sebbene esistano coppie in cui il tradimento dove ci si ama e non ci si tradisce mai, la frase "chi ama non tradisce" può anche diventare un autoinganno, anche pericoloso, che consente di mantenere fiducia nell'amore puro, nella persona amata e idealizzata, e la filosofia del “per sempre”, tanto cara a registi e sceneggiatori di film a lieto fine. Ma è davvero cosí? Il piú delle volte no. Sebbene il pensiero del “chi ama non tradisce” permette piú facilmente di affrancarsi da un traditore, di ripartire da se stessi e di costruire una nuova storia dopo essere stati traditi, ma va detto anche che può diventare un'arma a doppio taglio nel momento in cui, rimanendo troppo attaccati a questa convinzione, non riusciamo a ricostruire una relazione o la fiducia nell'altro sesso quando veniamo traditi.
Inoltre, per molti, amore e tradimento rappresentano due strade che prendono binari diversi più spesso di quanto si pensi: nessuno può, infatti, dirsi totalmente buono/innamorato o totalmente cattivo/traditore. Che dire, per esempio, di quando incontriamo un nostro ex e ci abbandoniamo ai ricordi vissuti con lui? E quando incontriamo, magari all'insaputa, qualcuno che a noi piace ma non è gradito al nostro partner? E l'osservare qualche foto sui social network e lasciare commenti e apprezzamenti, più o meno ammiccanti, a qualcuno che ci piace ma non è il nostro partner? E che dire di quel sentimento mai confessato per qualcuno che sappiamo piacerci molto, nonostante siamo già impegnati? Non possono forse essere considerate anche queste forme di tradimento? Eppure questo non significa che abbiamo smesso di amare il nostro partner "ufficiale". Vi è persino il paradosso, talvolta, che per stare con qualcun'altro per mantenere le apparenze, si finisce per tradire se stessi. Tutti gli esempi che ho elencato sono piuttosto diffusi, ma non se ne parla quasi per nulla, sembra quasi essere una sorta di tabù, sempre per via della convinzione radicata e socialmente accettata del "chi ama non tradisce" e per via delle regole della monogamia e obbligo fedeltà ad un'unica persona, tipiche delle nostre culture occidentali, radicate da secoli nel nostro modo di pensare e comportarci.
Insomma, quello che vorrei ribadire è che la perfezione nelle relazioni non esiste e tutti noi, in quanto esseri umani, in un modo o nell'altro sbagliamo e ci autoinganniamo
Se poi guardiamo la questione dal punto di vista di chi tradisce, vediamo che spesso vi sono da parte sua il desiderio e la volontà di mantenere entrambe le relazioni, quella ufficiale e quella clandestina, e, se messo alle strette e interrogato sullo scegliere il partner iniziale oppure l'amante, chi tradisce il piú delle volte sceglie il partner iniziale, pur continuando a desiderare anche l'amante. Le statistiche ci dicono che sono poche le storie che si concludono con l'inizio di una nuova relazione alla luce del sole tra l'amante e il pregresso traditore. Solo nel caso in cui il pregresso traditore e la persona tradita abbiano problemi insormontabili, avviene che si lasciano e questo puó favorire il nascere di una nuova storia tra il traditore e l'amante. Ma ciò che conta, e che spesso non viene preso in considerazione in virtù della questione di principio della monogamia, è che molti traditori vorrebbero non dover scegliere, perché di fatto stanno bene in tutte le relazioni che hanno. 
Una precisazione: quanto ho appena scritto non va preso per una giustificazione al comportamento di chi tradisce nè tanto meno come un'incitazione a tradire. Il mio intento in questo paragrafo era quello di ricostruire le ragioni e i vissuti che ruotano attorno al tradimento, facendone comprendere la sua complessità, che non può essere semplicemente liquidata con l'espressione "chi ama non tradisce".

7. I sentimenti dell'amante 
Il piú delle volte e specie all'inizio di una nuova relazione, l'amante non sa che la persona amata abbia un'altra relazione ufficiale con qualcun'altro. Una volta scoperta la presenza della relazione ufficiale del traditore, le reazioni dell'amante possono essere diverse: c'è il desiderio di avere la persona amata tutta per sé e quindi il desiderio che il traditore lasci il/la suo/a partner ufficiale. Questo desiderio è legittimato dalle promesse della persona amata: “prima o poi lo lascio”, “sto con lei ma in realtá amo te”. Tali promesse si rivelano nella maggior parte dei casi bugie, dette all'unico scopo di tenersi vicino anche l'amante. Ecco allora che l'amante, per poter diventare finalmente l'unico partner esclusivo, aspetta pazientemente che il traditore lasci la moglie, il marito, il fidanzato… oppure per accelerare tale processo, l'amante tenta in alcuni casi di avvertire la persona tradita dell'avvenuto tradimento. In realtá la mossa di avvertire la persona tradita si rivela spesso inefficace: parlarne con la moglie, con il fidanzato della persona amata, spesso ha come unica conseguenza che il traditore non voglia piú aver a che fare con l'amante in quanto il traditore si sente tradito (paradossale ma vero!) dall'amante per aver oltrepassato i limiti di ció che è concesso fare a un amante, oppure ha anche come conseguenza che il partner ufficiale apra gli occhi, risolva i problemi e riaccenda la passione del traditore.  
In altri casi, quando l'amante scopre di essere tale, non accetta la situazione e tronca la storia clandestina con il traditore. Questo è possibile solo quando l'amante mette come prioritá i valori etici e morali e quando non cede alle false promesse e lusinghe del traditore
In altri casi ancora, l'amante non si fa problemi quando scopre di non essere il partner ufficiale, pensando: “se non è un problema per lui/lei tradire la propria moglie/marito/fidanzato, non vedo perché dovrebbe essere un problema per me”. In altre parole, in questo caso l'amante accetta di giocare con le regole stabilite dal traditore, regole che generalmente prevedono che l'amante debba rimanere nell'ombra. Quando l'amante accetta di giocare con le regole del traditore e di rimanere nell'ombra, è piú probabile che la storia clandestina duri piú a lungo, rimanendo tuttavia il più delle volte una relazione nell'ombra, cosa che può arrecare in alcuni casi anche dolore all'amante. 

8. E' possibile superare un tradimento e come? 
Quando avviene un tradimento, si aprono due strade davanti a noi: lasciar perdere definitivamente chi ci ha traditi oppure perdonarlo. Può aggiungersi una terza opzione, che è quella di tentare una di queste due vie e poi anche l'altra, qualora la prima scelta compiuta non sia risultata soddisfacente. Nessuna scelta è del tutto immutabile.
La scelta se perdonare o meno un tradimento è del tutto personale. Ogni persona, in base al legame che ha con la persona tradita, in base alla presenza o meno di figli, in base al fatto di voler mettere al primo posto se stesso/a oppure la coppia e la dimensione del noi, decide il da farsi.
Chi sceglie la prima opzione, dovrà fare i conti con la fine della relazione e con il ripartire da capo, questa volta da solo/a. E' importante che focalizzi la sua attenzione su se stesso/a e riparta da sè, per costruire una nuova vita.

Vorrei concentrarmi tuttavia sulla seconda opzione: il perdono, che può essere vista come una scelta più impegnativa, ma spesso vincente e soddisfacente se si fa tesoro dei propri errori. Quello che c'è da sapere quando si decide di perdonare è che la cosa piú difficile all'inizio è recuperare la fiducia nella persona che ci ha tradito e contemporaneamente recuperare l'idea di sé come persona di valore, dato che appena si viene traditi, si viene anche svalutati dalla persona che un tempo diceva di amarci. Chi accetta di perdonare sta offrendo una nuova possibilitá a chi ha tradito di riscattarsi e di ripartire da capo. È come una nuova storia che riparte, ma con maggiori consapevolezze: le consapevolezze degli errori del passato. In altre parole, per ricominciare entrambi devono essere consapevoli degli errori commessi (aver trascurato? Aver dato per scontata la relazione? Essersi fatti coinvolgere da qualcuno che semplicemente ha fatto delle avances?) e far tesoro di quegli errori per ricominciare. Il traditore che comprende i propri errori, che si impegna per non ricommetterli, trarrá nuova linfa dalla nuova possibilitá di ricominciare che gli viene concessa dal perdono.  
Una coppia che ricomincia dopo un tradimento dovrebbe almeno capire le ragioni per cui il tradimento è avvenuto. Solo cosí sará possibile comprendere gli errori che hanno minato la relazione (se ce ne sono stati) ed evitare di ricommetterli in futuro. È altresí utile che vi sia comunicazione tra i due partner, nel dirsi le cose che non vanno, quelle che si vorrebbero, ció che dovrebbe cambiare. Per prevenire il tradimento qualcuno sostiene che sia anche utile parlare delle nuove simpatie che si provano per il potenziale amante e confessare all'altro ogni pensiero di desiderio diretto ad altre persone esterne alla coppia: questo perché il tradimento raramente si verifica subito al primo incontro con una persona, ma è prima immaginato, pensato, e talvolta pianificato ogni volta che si incontra il potenziale amante e ogni volta che questi nuovi sentimenti crescono all'insaputa del partner “ufficiale”. Tuttavia tale confessione potrebbe anch'essa minare la fiducia perfino più di un tradimento concreto, quindi occorre valutare bene se l'altro è in grado di accogliere questa notizia oppure se è preferibile risolvere la questione tra sè e sè. 
Puó essere anche utile ricordarsi dei sentimenti che ci dava inizialmente il nostro partner ufficiale, per cosa ci è piaciuto e ricostruire l'atmosfera gioiosa dei primi tempi, apprezzando i pregi dell'altro e accettandone i difetti. 
Un'indicazione utile è anche quella di evitare i comportamenti elencati al paragrafo 5 da Hillman. 
Quali suggerimenti per chi si trova invece nella posizione dell'amante? Anche qui le scelte sono molteplici. Puó accettare la posizione di amante e stare al gioco, accettando le regole del traditore oppure puó tirarsi fuori dal gioco, ripartendo da se stesso, trovando accezioni positive nella solitudine oppure trovando una nuova storia con qualcun'altro che non preveda la presenza di una terza persona
In conclusione si potrebbe affermare, come sostiene Franco Nanetti, che amare solo quando si è certi che non si sarà traditi significa essere estranei alla vita reale e che nulla può proteggerci dall’ambivalenza e dall’inganno. L’amore maturo accetta il mistero dell’altro, la sua libertà di sentire, di essere e scegliere, pur desiderando la fedeltà nella reciprocità.

E voi cosa ne pensate? Avete altri suggerimenti per superare un tradimento? Scriveteli nei commenti.

Fonti:


Carotenuto, A. (2000) Amare tradire, Bompiani
De Bac, M. (2006), Fedeli solo tre coppie su dieci, Mondadori
Hillman, J. (1967) Saggio sul tradimento, In Puer aeternus ED
Nanetti, F. (2010) Gli itinerari dell'amore e della passione, Pendragon
Nardone, G. (2014) L'arte di mentire a se stessi e agli altri, Ponte alle Grazie
Rossi, M.: identikit del traditore
State of mind: Psicopatologia del tradimento
Volo, F. (2011) Le prime luci del mattino, Mondadori

giovedì 7 aprile 2016

Psicologia del tradimento - prima parte


Quoque tu, Brute, fili mi?”: in questo modo Giulio Cesare si rivolse al figlio Bruto, accorgendosi che anche il figlio era presente quando Cesare fu consegnato ai congiurati per essere ucciso.

"«In verità io vi dico, uno di voi mi tradirà». Ed essi, addolorati profondamente, incominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?». Ed egli rispose: «Colui che ha intinto con me la mano nel piatto, quello mi tradirà. Il Figlio dell'uomo se ne va, come è scritto di lui, ma guai a colui dal quale il Figlio dell'uomo viene tradito; sarebbe meglio per quell'uomo se non fosse mai nato!». Giuda, il traditore, disse: «Rabbì, sono forse io?». Gli rispose: «Tu l'hai detto»."  
(Vangelo secondo Matteo, 26:21-25)

A partire dalla storia, continuando nella religione, passando per il mito (quante volte Zeus tradí Era?) per arrivare ai tradimenti dei giorni nostri. Cosa significa tradire? Perché lo si fa? Ci sono caratteristiche ricorrenti che permettono di identificare un traditore? Che ruolo ha la persona tradita nel far sí che il tradimento avvenga? Quali comunicazioni, pensieri e azioni mantengono il tradimento? “Chi ama non tradisce”? Come si sente l'amante? È possibile perdonare un tradimento e come? Ne parliamo in parte oggi e in parte la prossima settimana in questo articolo e nel prossimo.
 


1. Etimologia
L'etimologia della parola tradire è latina: deriva da tradĕre ( dal'unione del prefisso tra- cioè oltre + dare cioè consegnare) = consegnare (ai nemici). Quindi, in origine, il tradimento era un fatto appartenente all'ambito militare. Successivamente il termine si estese anche ad altri ambiti fino ad assumere il significato odierno, conservando generalmente quel senso fortemente negativo e dispregiativo: tradire significa in genere, mancare di fedeltà, ma a seconda dell'uso, assume sfumature differenti: 
- se riferito alla vita coniugale significa essere infedeli (sessualmente);
  - se riferito ad un'ideologia, un partito significa rinnegare, essere un "voltagabbana";
- se riferito ad una religione significa abiurare, essere apostata;
- se riferito al significato, all'interpretazione di un fatto significa falsare, travisare;
- se riferito allo sguardo o ad una espressione emotiva significa esprimere, svelare, far trapelare.

Quando si parla tradimento, oggi nelle societá occidentali ci riferiamo principalmente all'ambito amoroso, anche se esistono altri tipi di tradimento: puó essere considerato traditore anche un figlio che dice alla mamma di aver preso un bel voto e invece va male a scuola, o un genitore che si ripromette di dar ascolto ai figli e poi gli compra un giocattolo per farlo stare zitto. Puó essere considerato traditore chi si inventa scuse per non vedere persone che si reputano antipatiche o fastidiose,mentre si sorride davanti a loro. Potremmo essere considerati traditori quando andiamo contro ai nostri desideri, dimenticando le nostre esigenze per far contento qualcun'altro… ci sono miliardi di tradimenti, anche di coppia diversi da quello sessuale, per esempio puó essere considerato tradimento anche il desiderare di fare l'amore con qualcuno che non è il proprio partner o il confidare le proprie difficoltá di coppia a un'amica invece che alla propria fidanzata, o il crogiolarsi nella nostalgia quando si rivede un ex, ma di questi tradimenti non si parla spesso. In ogni caso sembra che oggi la forma piú devastante e meno tollerata attualmente sia proprio il tradimento di coppia quando prevede attivitá sessuali con una terza persona, ed è proprio in seguito a tali tradimenti nella coppia che in alcuni casi le persone arrivano dallo psicologo, per cui in questo articolo mi concentreró su quest'ultimo.

2. Alcune statistiche sui tradimenti  
Parlando di tradimento amoroso, le statistiche segnalano che almeno una coppia su tre è incorsa in almeno un tradimento nella sua vita, ma altre statistiche sostengono che il tradimento puó aumentare fino a 7 coppie su 10, specie nelle grandi cittá e soprattutto nella fascia di etá compresa tra i 35 e i 45 anni. In altre parole, sarebbero solo 3 su 10 le coppie veramente fedeli in assoluto. Non so voi, ma a me questo dato ha un po' sorpreso, forse perché tra chi conosciamo e chi sta intorno a noi non se ne parla cosí spesso. Ogni coppia tende a mostrare agli altri i lati positivi della propria relazione, molto meno i problemi, che si preferisce condividere con persone fidate o nascondere completamente, per la logica “i panni sporchi si lavano in casa”. In ogni caso il dato secondo me sorprendente è che il tradimento sembra quasi essere piú consueto e diffuso rispetto alla fedeltá! Tornando alle statistiche: l'80% dei tradimenti viene in genere scoperto, ma nel 70% di essi la relazione continua nonostante il tradimento. Secondo De Bac, questo stare insieme nonostante il tradimento sarebbe da attribuirsi al fenomeno della dipendenza affettiva, cioé al bisogno di avere qualcuno accanto, per la propria sicurezza, per avere conferme, per evitare la solitudine. Lo stare insieme nonostante il tradimento secondo le statistiche avviene maggiormente se si tratta di coppie consolidate, che stanno insieme da lunga data ed è ancor piú vero per le coppie sposate e/o con figli.
 
3. Perché si tradisce?  
Le motivazioni piú frequenti sono: 
- problemi nella coppia preesistente; 
- sentirsi trascurati dal partner;
- per vendetta (ad esempio per ripagare con la stessa moneta un partner che ci ha precedentemente tradito);
- per evadere dalla routine e dalla noia;
- per il desiderio di trasgredire e di provare nuove emozioni;
- avere la sensazione che il nostro partner attuale non ci dá tutto ció di cui abbiamo bisogno;
- sentirsi soli e non capiti dal proprio partner;
- per il piacere della conquista iniziale;
- per ravvivare un rapporto appiattito.

 Il tradimento puó anche non essere pianificato: si conosce per caso (per lavoro, per hobby, durante un evento organizzato da altri ecc) una persona che ci attira per qualche motivo, ci si sente bene con lei, ci si sente completati di qualcosa che il nostro partner non è in grado di darci, ci si sente bene perché si ha l'impressione che quella persona ci faccia dimenticare gli eventuali problemi col partner e ci si fa prendere da questi sentimenti di benessere, quasi dimenticando di essere impegnati con qualcun'altro.  

Condizioni fondamentali che permettono al tradimento di realizzarsi sono anche il fatto che si preferisce non affrontare i problemi preesistenti e un progressivo allontanamento, fisico, emotivo e/o comunicativo dal proprio partner, che dá la sensazione di non poter parlare liberamente degli eventuali problemi della coppia preesistente, e che ci porta a non parlare dell'importanza progressiva che sta acquisendo per noi la nuova persona conosciuta e che ci attira. Secondo alcune ricerche, anche l'esempio dei genitori e l'educazione ricevuta in famiglia possono contribuire a rendere piú probabile un tradimento: chi ha visto uno dei propri genitori tradire, sará piú propenso a fare altrettanto. Anche i valori trasmessi possono giocare un ruolo fondamentale: chi pratica e vive secondo i dettami della religione cattolica, per esempio, è meno probabile che incorra in un tradimento.

4. Tre possibili identikit del traditore
 Secondo Marco Rossi, psichiatra e sessuologo, i traditori possono essere riassunti in tre categorie: il traditore seriale, il traditore frequente e il traditore occasionale.  
a) Il traditore seriale: è una persona dalle due vite parallele, quello che facilmente partecipa a due pranzi a Natale. Le due vite sono ben organizzate, una delle quali è però nascosta. Generalmente ha un’amante stabile, ma può averne anche diverse. Da un punto di vista psicologico è il classico individuo dalla doppia vita, eterno insoddisfatto, che cerca di riempire il proprio vuoto senza però riuscirci. Generalmente i suoi tradimenti non vengono scoperti, grazie alla sua ottima organizzazione.  

b) Il traditore frequente: tradisce con difficoltà, ma in maniera abbastanza assidua. Fatica nella gestione del tradimento e nell’organizzazione di quanto ne consegue, non è sistematico come il traditore seriale. Da un punto di vista psicologico è insicuro e cerca di compensare la propria incertezza attraverso nuove conquiste. Ha bisogno di sentirsi valido, attraente e interessante.
 
c) Il traditore occasionale: una persona che se tradisce una volta, pensa che non lo rifarà una seconda (ma a volte gli ricapita). Da un punto di vista psicologico fatica a tirarsi indietro se stimolato con delle avances di qualcun'altro.
Queste categorie oggi valgono per gli uomini, ma anche per le donne. Esse anni addietro tradivano quando si innamoravano di un altro, oggi invece non hanno comportamenti così diversi dal sesso maschile in fatto di tradimento.
 
Cosa ne pensate degli argomenti introduttivi sul tema del tradimento? Nel prossimo articolo entreró nel vivo del tema, raccontando come anche la persona tradita puó contribuire a generare il tradimento, il gioco relazionale e comunicativo che si crea tra tradito e traditore, quali pensieri, comportamenti ed azioni mantengono il tradimento, il ruolo dell'amante e di come è possibile perdonare e ripartire dopo un tradimento. Restate sintonizzati ;)


Fonti:
Sacra Bibbia, Vangelo secondo Matteo
Carotenuto, A. (2000) Amare tradire, Bompiani
De Bac, M. (2006), Fedeli solo tre coppie su dieci, Mondadori
Hillman, J. (1967) Saggio sul tradimento, In Puer aeternus ED
Nanetti, F. (2010) Gli itinerari dell'amore e della passione, Pendragon

Nardone, G. (2014) L'arte di mentire a se stessi e agli altri, Ponte alle Grazie
Rossi, M.: identikit del traditore
State of mind: Psicopatologia del tradimento
Volo, F. (2011) Le prime luci del mattino, Mondadori