Nello scorso articolo (Cosa ci insegnano gli atleti olimpici?) ho riportato alcune storie di atleti
olimpici con l’obiettivo di far comprendere come esse e come lo sport più in
generale possono fornirci insegnamenti e spunti utili anche per la vita di
tutti i giorni, in altri ambiti, per condurre una vita migliore, all’insegna
del benessere. Abbiamo osservato storie di passione, di impegno, di
orientamento all’obiettivo, di perseveranza nonostante le difficoltà.
Oggi attraverso altre storie di atleti olimpici parleremo di
opportunità per realizzarsi, di gioco corretto (fair play), di superamento
delle barriere, di dare il massimo, di conoscere se stessi, superando i propri
limiti.
1)Opportunità
per realizzarsi: Maryan Nuh Muse, atleta somala, è arrivata alle Olimpiadi per
correre e per gareggiare con altre atlete: questo sembrerebbe scontato e
naturale (del resto, alle Olimpiadi si va proprio per gareggiare con altri
atleti provenienti da tutto il mondo), ma per Maryan non è affatto scontato.
Pare, infatti, che lei sia l’unica atleta donna somala che ha potuto
partecipare alle Olimpiadi. In Somalia, a causa delle condizioni politiche,
economiche e culturali che non consentono alle donne di emanciparsi
completamente, non è facile poter praticare sport ed allenarsi ad alti livelli,
soprattutto se si appartiene al genere femminile.
Maryan (nella foto a destra) è arrivata alle
Olimpiadi e già questo è per lei motivo di orgoglio e un’occasione per
realizzarsi, nonostante le difficoltà che incontra nel suo Paese di origine, ma
c’è di più: Maryan raccoglie l’eredità ed ha come fonte di ispirazione Samia,
un’altra atleta somala che come lei vedeva nella corsa e nello sport un’opportunità
per realizzarsi ed emanciparsi. Samia è purtroppo tragicamente deceduta nel mar
Mediterraneo, durante una traversata a bordo di un gommone che avrebbe dovuto
condurla in Europa. Non è chiaro se il viaggio in mare di Samia fosse legato al
desiderio di sfuggire alle condizioni economiche e politiche del suo Paese di
origine oppure se si trattasse di un viaggio legato allo sport, per allenarsi
nelle migliori strutture sportive europee e per partecipare alle gare olimpiche
di Londra del 2012. In ogni caso, Maryan fa tesoro dell’esperienza di Samia e
oggi, preparata dallo stesso allenatore della sua compatriota, scorgiamo in lei
lo stesso modo di correre, oltre che una notevole somiglianza fisica, ma
soprattutto troviamo in lei la stessa voglia di autorealizzarsi attraverso lo
sport.
Quale
insegnamento possiamo trarre per noi? Una volta che scopriamo un’attività che
ci piace e per cui siamo portati, cerchiamo di fare di tutto per realizzarci
completamente con essa, anche se le condizioni del nostro ambiente sono
sfavorevoli. Cerchiamo anche di non sottovalutare le possibili conseguenze di
un’azione molto rischiosa. Può tornare utile a tal proposito immaginare
possibili scenari futuri, cercando di anticiparne alcuni possibili risultati.
Immaginare tutto ciò ci permette di arrivare più preparati e di affrontare meglio
le difficoltà.
2) Gioco corretto, secondo le regole (fair play):
quest’anno alle Olimpiadi di Rio l’intera squadra di atletica russa è stata
esclusa dai giochi per doping. Fare uso di sostanze in grado di aumentare
chimicamente le proprie prestazioni è scorretto e non equo, rispetto a chi si
allena senza far uso di tali sostanze. i risultati del test antidoping erano
positivi per alcuni atleti russi, inoltre altri atleti avevano rifiutato di
sottoporsi ai controlli ed altri ancora avevano cercato di falsare il test,
procurandosi urine pulite altrui e spacciandole come proprie. Per tutte queste
ragioni l’Associazione Internazionale delle federazioni atletiche (IAAF) ha
deciso di squalificare l’intera squadra di atletica russa. Tale esclusione dei
giochi ha suscitato varie polemiche da parte di atleti russi in regola e da
parte del governo. La decisione della IAAF è conseguente anche al fatto che
erano state fornite scrupolose linee guida riguardo al doping, ma sono state
completamente ignorate da molti atleti russi, inoltre troppi episodi sospetti
si sono accavallati. Certo, dispiace per gli atleti russi che non hanno fatto
uso di sostanze e che ci hanno dovuto rimettere, non potendo partecipare,
ma si spera che quanto accaduto possa essere considerata un’occasione per
riflettere e un modo per disincentivare l’uso di sostanze dopanti.
Quale insegnamento possiamo trarre per noi? E’
meglio evitare scorciatoie e modi che ci permettono di raggiungere risultati in
maniera apparentemente più facile. Seguire le regole è un modo per rispettare
se stessi e gli altri. Prima o poi i nodi vengono al pettine e a quel punto chi
ci rimetterà sarà sia chi non ha rispettato le regole, sia chi non si è
adoperato per farle rispettare. Chi rimane in silenzio, nonostante sia in
regola, spesso contribuisce al mantenimento del problema proprio perché non si
esprime.
3) Superamento delle barriere: lo sport unisce
popoli e nazioni, supera le differenze religiose, culturali, di genere e di
razza. In campo non conta da dove vieni o in cosa credi, conta invece il
cercare di fare del proprio meglio, nel rispetto degli altri e delle regole.
Alle Olimpiadi di Rio troviamo esempi di questo atteggiamento, ma anche del suo
contrario. Da un lato il judoka egiziano Islam El Shehaby ha rifiutato di
stringere la mano all’avversario israeliano che l’ha battuto, Or Sasson (foto a destra): questo
ha fatto sì che El Shehaby fosse pesantemente sanzionato, poiché il gesto è
stato considerato antisportivo e contrario allo spirito di amicizia presente
nei valori olimpici; anche questo ci ricorda che il rispetto per l’avversario e
per la sua provenienza fa parte delle regole da rispettare di cui parlavo al
punto 2.
Dall’altro lato troviamo invece un bel gesto tra due atlete di
differenti provenienze: la neozelandese Nikki Hamblin e l’americana Abbey D’Agostino.
Abbey è caduta durante le corse di qualificazione dei 5000 metri e ha accusato
grande dolore e fatica ad alzarsi. Nikki l’aveva appena superata, ma vedendola
sofferente e in difficoltà ad alzarsi, è tornata indietro per aiutarla,
sostenerla e incoraggiarla a riprendere la gara. Entrambe le atlete, nonostante
il tempo perso per la caduta, sono riuscite poi a recuperare e a qualificarsi
entrambe per le finali.
Quale insegnamento possiamo trarre per noi?
Potremmo utilizzare l’esempio di Abbey e Nikki come spunto di riflessione e
chiederci come incentivare la comunicazione e cooperazioni tra popoli, come
favorire l’integrazione tra persone provenienti da zone e culture diverse. La
società in cui viviamo oggi è sempre più multietnica e sempre più
multiculturale e lo sarà anche in futuro: come possiamo meglio comprendere chi
viene da altri luoghi? Cosa possiamo offrire per aiutare gli stranieri ad
ambientarsi? Ed essi cosa possono fare per riuscire a vivere meglio in un luogo
sconosciuto che non è la loro patria?
4) Dare il massimo: quando si gareggia la voglia di
vincere è tanta. Lo sa bene Shaunae Miller, atleta delle Bahamas, che nella
corsa dei 400 metri piani ha superato l’avversaria letteralmente tuffandosi sulla
linea del traguardo. La regola, infatti, stabilisce come vincitore l’atleta che
supera la linea del traguardo con qualsiasi parte del corpo: Shaunae ha preso
alla lettera la regola, adottando una soluzione creativa che le è valsa la
medaglia d’oro con distacco di soli 7 centesimi di secondo dalla seconda
arrivata.
Quale insegnamento possiamo trarre per noi?
Occorre persistere e dare il massimo per ottenere i migliori risultati. Qualche
volta adottare soluzioni creative che contraddistinguono noi e ciò che facciamo
può essere la via vincente che porta al successo.
5) Conoscere se stessi, superando i propri
limiti: “Conosci te stesso” è una massima presente fin dall’epoca della Grecia
antica. Applicata al mondo dello sport, assume due significati: porre
attenzione costante al proprio fisico e al proprio allenamento e conoscere le
proprie condizioni psicologiche per arrivare alla gara preparati al meglio dal
punto di vista fisico e mentale. Lo sanno bene Tania Cagnotto e Francesca
Dallapè, tuffatrici che alle Olimpiadi di Rio hanno ottenuto la medeglia d’argento
nei tuffi sincronizzati dal trampolino di 3 metri.
Per sbagliare un tuffo basta poco: basta mettere male anche solo un piede o una mano, basta
sbagliare anche di poco lo slancio o la forza messa nella rotazione. La cosa si
complica se occorre realizzare un tuffo in sincronia con un compagno di
squadra: tempi e movimenti lì devono essere coordinati alla perfezione. Per
eseguire un tuffo sincronizzato perfetto serve dunque un duro e lungo
allenamento, sia fisico che mentale.
Sia Tania sia Francesca hanno affermato in alcune interviste che per la loro preparazione mentale si avvalgono di uno psicologo dello sport. Francesca ha raccontato: “Ci sono due tipi di paura, quella fisica che devi superare da piccola quando impari un tuffo nuovo e prendi una panciata o una schienata. Mica un piacere. E quella psicologica ad alto livello, che è paura soprattutto di fallire: contro la seconda nel 2007 ho chiesto aiuto a uno psicologo dello sport. Tendevo ad arrivare troppo carica in gara, senza riuscire a tenere in equilibrio adrenalina e concentrazione, volevo sempre spaccare il mondo e finivo per sbagliare. Ora mi sento più sicura.Ho imparato a esercitare controllo e soprattutto ad accettare l’errore”.
Sia Tania sia Francesca hanno affermato in alcune interviste che per la loro preparazione mentale si avvalgono di uno psicologo dello sport. Francesca ha raccontato: “Ci sono due tipi di paura, quella fisica che devi superare da piccola quando impari un tuffo nuovo e prendi una panciata o una schienata. Mica un piacere. E quella psicologica ad alto livello, che è paura soprattutto di fallire: contro la seconda nel 2007 ho chiesto aiuto a uno psicologo dello sport. Tendevo ad arrivare troppo carica in gara, senza riuscire a tenere in equilibrio adrenalina e concentrazione, volevo sempre spaccare il mondo e finivo per sbagliare. Ora mi sento più sicura.Ho imparato a esercitare controllo e soprattutto ad accettare l’errore”.
Quale insegnamento possiamo trarre per noi? Conoscere se stessi e l’ambiente che ci circonda permettono di capire quali soluzioni possiamo trovare per risolvere la nostra situazione e quali risorse mettere in campo per adattarci. L’impegno per conoscere se stessi è costante e qualora da soli non riusciamo a perseguire i nostri propositi di conoscenza e di adattamento a ciò che il nostro ambiente ci impone, è possibile avvalersi della consulenza di un professionista psicologo, che può permetterci di conoscerci meglio, di comprendere cosa ci spinge a reagire in un modo poco utile in una certa situazione, che ci permette di far emergere le nostre risorse e di trovare soluzioni nuove ai nostri problemi.
Si conclude qui l’articolo sugli insegnamenti degli
atleti olimpici. Se vi va, fatemi sapere nei commenti quali altri insegnamenti
secondo voi si possono trarre da queste storie e quale storia vi ha colpito o
vi è piaciuta di più.
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