Di recente ho
letto un articolo dove si affermava che “le madri italiane sono tra
le piú infelici in Europa, i padri sono più felici dei non padri,
in ugual misura da paese a paese. Sempre secondo l’indagine, le
donne con figli
sono più felici di quelle che non li hanno soltanto nelle
nazioni dove la parità di genere (nella vita lavorativa, politica e
familiare) è acquisita e dove la conciliazione lavoro-famiglia
è una pratica consolidata”. Mi sono chiesta: è possibile? Se da un
lato i problemi legati alle politiche italiane per conciliare
maternitá e lavoro in Italia non sono a favore delle mamme,
l'emancipazione femminile ancora non è del tutto diffusa e
non vi è paritá tra uomini e donne (in Italia molto spesso
ancora si associa agli uomini il lavoro e alle donne l'occuparsi della
famiglia), dall'altro lato mi guardo intorno e vedo tra amiche,
conoscenti e parenti mamme italiane felici e realizzate, sia
nell'ambito familiare sia in quello lavorativo. Mi sono chiesta
quindi: come è possibile che le ricerche vadano in una direzione e i
riscontri delle persone intorno a me vadano in una direzione che
sembrerebbe del tutto opposta? La domanda successiva allora mi è sorta
spontanea: come sono state costruite le interviste per misurare la
felicitá e soddisfazione di queste persone? Di quali parametri hanno
tenuto conto le interviste e come li hanno ricavati (li hanno decisi a priori i ricercatori o sono emersi da precedenti interviste a domande aperte?)? Questi parametri possono essere
applicabili a tutti? Ho fatto qualche ricerca in
proposito, di seguito riassumo quel che ho trovato.
Variabili decise
a priori dai ricercatori
L'immagine qui sopra è ricavata dalle
linee guida suggerite dalla Organisation for Economic Co-operation
and Development (OECD) per misurare il livello del benessere
soggettivo, ovvero la felicitá citata nella prima frase con cui si apre questo articolo. Osservando l'immagine, notiamo che i
ricercatori, nel costruire i questionari per misurare la felicitá,
hanno deciso a priori che essa è necessariamente data da alcune
condizioni: stipendio, stato di salute, relazioni, tipo di
personalitá, cultura, status di impiego (si veda linea verticale,
denominata Determinants). Inoltre i ricercatori definiscono il
benessere soggettivo (Measurement concept, visibile sulla linea
orizzontale) come l'insieme di soddisfazione della vita (che include
soddisfazione per lo stipendio, per la salute e per il lavoro)
unitamente alle emozioni sperimentate (rabbia, preoccupazione,
felicitá) e unitamente a un benessere definito "eudaimonico" (legato alla
realizzazione di scopi personali, percezione di competenza e di
autonomia).
Un elemento che mi ha molto colpito è il fatto che i guadagni economici e la presenza di relazioni con partner fissi secondo i ricercatori fossero alla base della loro definizione di felicitá. Questo ha portato alla costruzione di domande come “Indica su una scala da 1 a 10 quanto sei soddisfatto del tuo lavoro”. L'implicito sottostante alla costruzione della domanda è: il livello di soddisfazione è necessariamente legato al lavoro. Ma come si fa a rispondere a questa domanda se il lavoro non è una prioritá, se non lo si ha e non lo si cerca, o se si è trovato un impiego che ci garantisce sicurezza ma che non ci piace? Inevitabilmente chi concepisce e vive il lavoro nei termini sopra menzionati o non risponde o è costretto dalla formulazione delle domande a rispondere fornendo risposte tali da comunicare un vissuto di insoddisfazione, che peró non sempre rispecchiano il modo in cui ogni persona lo vive, dal momento che la domanda non tiene conto della soggettivitá di ognuno e dell'importanza che ciascuno attribuisce al lavoro e al guadagno in relazione alla felicitá. In altre parole: non è detto che per tutti il lavoro o il guadagno siano indici di felicitá. È possibile proporre un discorso analogo per quanto riguarda la presenza di una relazione con un partner stabile: chi non è sposato o è single per scelta o ha molte relazioni senza partner fissi, se interrogato sul livello di soddisfazione della sua relazione di coppia, o non risponde o ricade in risposte che indicano insoddisfazione, risposte che peró non sempre rispecchiano l'effettivo legame che una persona stabilisce tra felicitá e presenza di un partner stabile nella propria vita. In altre parole: qualcuno potrebbe essere felice anche senza avere un partner fisso, ma per come sono formulate le domande dell'intervista, questa possibilitá non è contemplata. Potremmo allora concludere: non per tutti il lavoro o una relazione con un partner fisso sono i termini principali secondo i quali stabilire la propria felicitá. Gli studi sulla misurazione della felicitá risentono di questo vizio di procedura a mio avviso.
Anche Balducci e Chelli, in un loro articolo concludono che gli indici per misurare la felicitá risentono: "di una forte arbitrarietà nella procedura di selezione delle dimensioni da considerare (i nove domini) e nella struttura delle domande. Tale caratteristica rende l’indicatore facilmente manipolabile e distorcibile da parte di chi lo promuove, con il rischio di valutare il benessere che i promotori vogliono che la società abbia, anziché quello effettivamente sperimentato dagli individui".
Un elemento che mi ha molto colpito è il fatto che i guadagni economici e la presenza di relazioni con partner fissi secondo i ricercatori fossero alla base della loro definizione di felicitá. Questo ha portato alla costruzione di domande come “Indica su una scala da 1 a 10 quanto sei soddisfatto del tuo lavoro”. L'implicito sottostante alla costruzione della domanda è: il livello di soddisfazione è necessariamente legato al lavoro. Ma come si fa a rispondere a questa domanda se il lavoro non è una prioritá, se non lo si ha e non lo si cerca, o se si è trovato un impiego che ci garantisce sicurezza ma che non ci piace? Inevitabilmente chi concepisce e vive il lavoro nei termini sopra menzionati o non risponde o è costretto dalla formulazione delle domande a rispondere fornendo risposte tali da comunicare un vissuto di insoddisfazione, che peró non sempre rispecchiano il modo in cui ogni persona lo vive, dal momento che la domanda non tiene conto della soggettivitá di ognuno e dell'importanza che ciascuno attribuisce al lavoro e al guadagno in relazione alla felicitá. In altre parole: non è detto che per tutti il lavoro o il guadagno siano indici di felicitá. È possibile proporre un discorso analogo per quanto riguarda la presenza di una relazione con un partner stabile: chi non è sposato o è single per scelta o ha molte relazioni senza partner fissi, se interrogato sul livello di soddisfazione della sua relazione di coppia, o non risponde o ricade in risposte che indicano insoddisfazione, risposte che peró non sempre rispecchiano l'effettivo legame che una persona stabilisce tra felicitá e presenza di un partner stabile nella propria vita. In altre parole: qualcuno potrebbe essere felice anche senza avere un partner fisso, ma per come sono formulate le domande dell'intervista, questa possibilitá non è contemplata. Potremmo allora concludere: non per tutti il lavoro o una relazione con un partner fisso sono i termini principali secondo i quali stabilire la propria felicitá. Gli studi sulla misurazione della felicitá risentono di questo vizio di procedura a mio avviso.
Anche Balducci e Chelli, in un loro articolo concludono che gli indici per misurare la felicitá risentono: "di una forte arbitrarietà nella procedura di selezione delle dimensioni da considerare (i nove domini) e nella struttura delle domande. Tale caratteristica rende l’indicatore facilmente manipolabile e distorcibile da parte di chi lo promuove, con il rischio di valutare il benessere che i promotori vogliono che la società abbia, anziché quello effettivamente sperimentato dagli individui".
Altre difficoltá nella misurazione della felicitá
1) In altri articoli che riassumono i modi con cui oggi si misura la felicitá emergono
dubbi metologici nella conduzione delle ricerche: è
difficile stabilire quanto fattori oggettivi che stanno alla base della
felicitá e/o del benessere soggettivo (per esempio lo stato di salute, che in tutte le culture viene riconosciuto come importante) si possano conciliare con fattori piú soggettivi. Va detto inoltre che i dati per la raccolta dei fattori soggettivi sono piú difficili da raccogliere, da sistemazzare e da confrontare: realizzare interviste a domande aperte (modalitá diffusa per raccogliere dati soggettivi) implica, infatti, una grande variabilitá di risposte e un maggior dispendio di tempo ed energie da parte dei ricercatori, rispetto ad un questionario con risposte precostituite.
2) Secondo altri autori un
altro limite è la possibilitá che alcune persone o culture non valutino realisticamente il proprio benessere, fornendo risposte
troppo pessimiste o troppo ottimiste (potrebbe essere che in Italia
tendiamo a vedere troppo nero e per questo risultiamo uno dei paesi meno felici in Europa? Mentre
invece in Europa dell'est sono piú ottimisti in questa valutazione e
dunque risultano piú felici degli italiani?).
3) Anche la cultura e le diverse sub-culture presenti in uno stesso Stato potrebbero avere criteri soggettivi diversi per stabilire cosa sia la felicitá, complicando ulteriormente la raccolta dei dati che finora sembra essere fondata sulla provenienza geografica (per esempio i risultati vengono forniti affermando: "il grado complessivo di benessere soggettivo in Italia è... mentre in Norvegia è...").
Ma allora misurare la felicitá è possibile? Misurare
la felicitá è una cosa piú complessa di quanto sembri e ad oggi pare
non ci siano metodi che tengano conto di tutte le variabili possibili,
soprattutto soggettive, non ancora sufficientemente esplorate e indagate. Le misurazioni e i dati quantitativi di cui disponiamo, è importante ricordarlo ancora una volta, derivano spesso da preconcetti dei ricercatori che stabiliscono a priori quali criteri definiscono la felicitá o il benessere soggettivo. Criteri che non è detto che valgano per tutti. Pertanto tali risultati sono parziali, incompleti e non generalizzabili.
Qualcuno forse a questo punto si chiederá: se non è possibile misurare con precisione la felicitá, come fa uno psicologo a sapere se una terapia sta andando bene o no e se il cliente sta migliorando la propria vita, diventando piú felice? Questo argomento da solo meriterebbe un articolo a sé, visto quanti sono i modi per capire se una terapia sta andando bene o no! Per ora basta sapere che lo psicologo, quando si trova a colloquio con una persona nel suo studio, non fa il ricercatore, e come tale non deve riassumere in una ricerca i dati di un'intera popolazione (questo è compito del ricercatore); compito dello psicologo è tenere conto della soggettivitá di una singola persona nella definizione della propria felicitá (eventualmente considerando anche le persone significative intorno a questa persona). Potrá farlo allora con domande come:
-"Cosa ti rende felice oggi?";
- "Se domani come per magia ti svegliassi senza il tuo problema, da cosa di accorgeresti di stare meglio? Quali segnali, quali indicatori ti farebbero dire che stai bene?";
-"Quali obiettivi e quali aspettative hai nei confronti del percorso di terapia? Dove vogliamo arrivare durante questo percorso insieme?";
-"Se tu mi dovessi dire su una scala da 1 a 10 quanto era presente il tuo problema quando abbiamo iniziato a vederci e quanto lo è adesso, cosa mi diresti? Dove ti collochi? E dove vorresti arrivare?" (E qualora la persona abbia evidenziato un progresso, come per esempio un passaggio da 0 a inizio terapia a 5 a metá terapia si puó aggiungere: "E come hai fatto a passare da 0 a 5?". Tale domanda serve anche per consolidare il cambiamento avvenuto, rendendo ancora piú chiari alla persona stessa gli elementi che ha messo in atto per migliorare la sua condizione).
E per te cos'è la felicitá? Cosa ti rende felice oggi? Scrivilo nei commenti se ti fa piacere!
Fonti:
- Madri, il diritto alla felicità è soffocato da una vita in apnea, tratto da il Fatto Quotidiano, 15 gennaio 2016: http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/01/15/madri-il-diritto-alla-felicita-e-soffocato-da-una-vita-in-apnea/2378242/
- OECD Guidelines on Measuring SubjectiveWell-being: http://www.oecd.org/statistics/Guidelines%20on%20Measuring%20Subjective%20Well-being.pdf
- Il benessere e la misurazione della felicitá: http://www.academia.edu/8794734/Il_benessere_e_la_misurazione_della_felicit%C3%A0
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