venerdì 29 gennaio 2016

9 atteggiamenti mentali per ritrovare la forma fisica


Dopo Natale e durante il Carnevale ti sei accorto di aver messo su peso e non sai come eliminarlo? Hai iniziato piú volte una dieta ma senza successo? Non riesci a praticare attivitá fisica regolarmente? Senti la necessitá di tornare in forma per motivi di salute e per piacere di piú a te stesso e a chi ti circonda? Allora forse questo articolo fa al caso tuo. Divideró l'articolo in due parti: nella prima parte ti racconto una storia di chi è riuscito a ritrovare la forma fisica e aggiungeró 8 atteggiamenti mentali che ti saranno utili per raggiungere i tuoi obiettivi. Per portare avanti dieta e sport, infatti, l'impegno parte dalla testa. Nella seconda parte, che pubblicheró tra qualche giorno, aggiungeró suggerimenti legati all'alimentazione e all'attivitá fisica, gli altri due pilastri che completano il raggiungimento e mantenimento di una buona forma fisica.




La storia di Elisa 
Elisa è sempre stata una buona forchetta, non è mai stata magra e fino all'etá di 18 anni non ha mai dato importanza alla forma fisica, ritenendolo un vezzo solo per vanitosi. Ha sempre avuto passatempi sedentari (tv, fumetti, lettura, disegno) e ignorato I consigli di chi le suggeriva di praticare attivitá fisica, perché la riteneva un'inutile fatica e spreco di energie. Il suo punto di vista sull'attivitá fisica ha iniziato a cambiare grazie a un'amica che l'ha convinta a tornare insieme da scuola in bici mentre parlavano dei loro fumetti preferiti e le ha mostrato che la piscina d'estate è divertente, grazie ad un'altra amica che le ha proposto di fare delle passeggiatine in centro per vedere i negozi la domenica pomeriggio e grazie alla zia che anni dopo l'ha convinta ad accompagnarla in palestra.  Proprio grazie al coinvolgimento di queste tre persone Elisa inizia a rendersi conto che praticare attivitá fisica (camminate, nuoto, palestra) è piacevole e inizia a vedere i primi benefici dello sport sul suo corpo che diventa piú snello e tonico e le permette di fare cose che prima nemmeno immaginava, come lunghe passeggiate all'aria aperta con la sua migliore amica, non sentendo la fatica ma godendosi il paesaggio e le chiacchierate con lei.

A 19 anni Elisa si trasferisce a Padova per frequentare l'universitá e per lo stress della nuova vita, l'attivitá sedentaria, la mensa universitaria in cui non prestava attenzione a quel che mangiava e il non avere piú persone che la coinvolgevano in attivitá sportive, ingrassa di alcuni chili. Decide che è il momento di dare una svolta alla sua vita e porre piú attenzione al proprio fisico con sport e alimentazione quando i suoi vestiti di sempre non le entrano piú e un suo fidanzato dell'epoca le fa notare che mangia troppo e che è “troppo grassa”, motivo per cui lui ha deciso di lasciarla. Nonostante Elisa sappia di non essere obesa, ma al massimo con pochi chili di sovrappeso, si rende conto che, se vuole piacere ai ragazzi e avere successo nel lavoro, deve curare di piú il suo aspetto fisico e la sua forma. Cosí si reiscrive in palestra, questa volta senza nessuno a coinvolgerla, ma di sua spontanea volontá. Grazie ai consigli ed esercizi dell'allenatore Vincenzo, che la segue passo passo con allenamenti di intensitá sempre maggiore e calibrati sul suo fisico, ottiene una migliore forma fisica ed in molti iniziano a farle i complimenti per l'impegno e per i risultati raggiunti. Nello stesso periodo conosce un nuovo fidanzato: mentre passeggiano insieme, lui le chiede se ha mai provato a correre invece di camminare soltanto. Elisa risponde di no, ma anche stavolta, come in passato, si lascia coinvolgere e prova anche la corsa, con grade divertimento e soddisfazione, dapprima correndo lentamente e alternando la corsa alla camminata e poi aumentando gradualmente il ritmo. Nel contempo Elisa insegna al fidanzato il piacere del nuoto d'estate e delle passeggiate e corsette la mattina presto in riva al mare quando vanno in vacnza. 
 
Mentre continua la palestra o la corsa, non essendo ancora soddisfatta del suo fisico, Elisa si mette a dieta, documentandosi da sola su cosa mangiare e come suddividere i pasti per dimagrire. La dieta ha successo ed Elisa perde 8 chili in 8 mesi, trovando il fisico che ha sempre desiderato, non da supermodella, ma in forma, tonico, in salute e scattante. Oggi Elisa ha acquisito l'abitudine di porre maggiore attenzione a ció che mangia, mangiando di tutto ma non eccedendo quasi mai in niente, e di fare 40 minuti di attivitá fisica quasi tutti i giorni (corsa 3 volte a settimana, e gli altri giorni esercizi a casa e/o passeggiate; d'estate continua a nuotare quando puó, alternando le corse al nuoto). Il suo fisico ringrazia e lei si diverte anche. Continua a motivarsi a vicenda con suo marito (lo stesso fidanzato che le propose la corsa) e i due insieme si divertono anche a sperimentare nuove ricette sfiziose, creative, leggere ma gustose.

Come dici? Il nome Elisa non ti è nuovo? Hai ragione, infatti la protagonista della storia sono proprio io! Ora che sai la mia storia e ti sei reso conto che perfino una persona pigra e poco attenta alla forma come me puó raggiungere dei buoni risultati, ti riassumo i consigli legati all'atteggiamento mentale per ritrovare la forma fisica: sono spunti e trucchi che mi sono stati utili e che spero potranno facilitarti nei tuoi obiettivi.

8 trucchi legati all'atteggiamento mentale
1) sport non è sinonimo di fatica e dieta non è sinonimo di privazione: puoi calibrare l'attivitá sportiva in base al tuo livello di allenamento, iniziando a piccoli passi e aumentando gradualmente una volta che il tuo fisico si è abituato. Anche dieta non significa che devi rinunciare ai tuoi cibi preferiti, ma in alcuni casi sará necessario limitarli un po' nelle quantitá: anche questo puó essere fatto gradualmente;

2) poniti obiettivi realistici, concreti, raggiungibili e aggiornali di tanto in tanto: perdere 10 chili in una sola settimana non è un obiettivo realistico ed è dannoso per la salute. Diffida delle diete che promettono l'impossibile in poco tempo. Diversi studi dimostrano che il peso viene mantenuto meglio se perso gradualmente e non in pochissimo tempo. Se li perdi in poco tempo, incorrerai nel famoso effetto yo-yo. Anche ottenere un fisico da supermodella per la maggior parte delle persone non è un obiettivo realistico e chi ce l'ha (ovvero solo l'1-2% della popolazione) il piú delle volte ce l'ha per fattori genetici, allenamenti anche di due ore al giorno in palestra e dieta ferrea pesata al grammo. Valuta tu se hai il tempo e le risorse per fare tutto questo;

3) il peso ideale non è un unico valore numerico, ma è un insieme di valori: se per esempio sei alta 1.60, puoi definirti in forma se il tuo peso sta I 48 e I 62 chili. Consulta la tabella con i valori di riferimento proposta dall'OMS (Organizzazione Mondiale dalla Sanitá), allegata qui sotto, per scoprire se il tuo fisico è in forma. Se scopri di essere sovrappeso o obeso, niente paura: non è mai troppo tardi per iniziare a prendersi cura della propria forma fisica. Consulta il tuo medico e senti quali sono le attivitá fisiche piú indicate per te e la dieta piú appropriata. Ricorda che volere è potere;


4) per raggiungere meglio i tuoi obiettivi, scrivi cosa vuoi fare per raggiungerli e fissali nella tua agenda: per esempio: “questa settimana 20 minuti di camminata tutti i giorni” oppure “da questa settimana mangio pasta solo a pranzo e non due volte al giorno”. Scriverli aiuta a fissarli meglio e a portarli a termine;

5) fai sí che queste nuove attivitá di movimento e attenzione all'alimentazione diventino delle buone abitudini e non un caso isolato e sporadico: il miglior modo per rimanere in forma è la costanza;

6) sport e attenzione all'alimentazione spesso si influenzano l'un l'altra e attivano un circolo virtuoso: sapendo quanto ti sei impegnato per perdere 2 chili, ti verrá meno voglia di rimpinzarti. Inoltre praticare attivitá fisica accelera il metabolismo e fa sí che tu mangiando accumuli meno grasso, perché il tuo fisico lo brucia piú in fretta. Infine sentendoti piú leggero e non appesantito da pasti pesanti, praticherai attivitá fisica con meno difficoltá.

7) regalati un piccolo premio quando hai raggiunto un obiettivo che ti sei posto (puó essere un cioccolatino dopo la corsa, oppure la pizza una volta a settimana… ricordati solo di non esagerare con il premio per non vanificare il tuo impegno!);

8) condividi i tuoi obiettivi con qualcun'altro, se puoi fai attivitá fisica con qualcuno, aggiornalo sui tuoi progressi e ascolta le storie di chi ha raggiunto i propri obiettivi (qui trovi un esempio: fantastica storia di perdita di peso): ti aiuterá a mantenere la voglia e la motivazione di perseguire i tuoi propositi!

9) non scoraggiarti se non vedi subito risultati immediati: ci vuole tempo, costanza e pazienza per ottenere risultati! 


La prima parte dell'articolo termina qui. Cosa ne pensi? Hai altri atteggiamenti mentali che vuoi condividere e che ti hanno aiutato a perseguire i tuoi obiettivi per una buona forma fisica? Raccontalo nei commenti!

martedì 19 gennaio 2016

È possibile misurare la felicitá?


Di recente ho letto un articolo dove si affermava che “le madri italiane sono tra le piú infelici in Europa, i padri sono più felici dei non padri, in ugual misura da paese a paese. Sempre secondo l’indagine, le donne con figli sono più felici di quelle che non li hanno soltanto nelle nazioni dove la parità di genere (nella vita lavorativa, politica e familiare) è acquisita e dove la conciliazione lavoro-famiglia è una pratica consolidata”. Mi sono chiesta: è possibile? Se da un lato i problemi legati alle politiche italiane per conciliare maternitá e lavoro in Italia non sono a favore delle mamme, l'emancipazione femminile ancora non è del tutto diffusa e non vi è paritá tra uomini e donne (in Italia molto spesso ancora si associa agli uomini il lavoro e alle donne l'occuparsi della famiglia), dall'altro lato mi guardo intorno e vedo tra amiche, conoscenti e parenti mamme italiane felici e realizzate, sia nell'ambito familiare sia in quello lavorativo. Mi sono chiesta quindi: come è possibile che le ricerche vadano in una direzione e i riscontri delle persone intorno a me vadano in una direzione che sembrerebbe del tutto opposta? La domanda successiva allora mi è sorta spontanea: come sono state costruite le interviste per misurare la felicitá e soddisfazione di queste persone? Di quali parametri hanno tenuto conto le interviste e come li hanno ricavati (li hanno decisi a priori i ricercatori o sono emersi da precedenti interviste a domande aperte?)? Questi parametri possono essere applicabili a tutti? Ho fatto qualche ricerca in proposito, di seguito riassumo quel che ho trovato.



Variabili decise a priori dai ricercatori
 L'immagine qui sopra è ricavata dalle linee guida suggerite dalla Organisation for Economic Co-operation and Development (OECD) per misurare il livello del benessere soggettivo, ovvero la felicitá citata nella prima frase con cui si apre questo articolo. Osservando l'immagine, notiamo che i ricercatori, nel costruire i questionari per misurare la felicitá, hanno deciso a priori che essa è necessariamente data da alcune condizioni: stipendio, stato di salute, relazioni, tipo di personalitá, cultura, status di impiego (si veda linea verticale, denominata Determinants). Inoltre i ricercatori definiscono il benessere soggettivo (Measurement concept, visibile sulla linea orizzontale) come l'insieme di soddisfazione della vita (che include soddisfazione per lo stipendio, per la salute e per il lavoro) unitamente alle emozioni sperimentate (rabbia, preoccupazione, felicitá) e unitamente a un benessere definito "eudaimonico" (legato alla realizzazione di scopi personali, percezione di competenza e di autonomia).
Un elemento che mi ha molto colpito è il fatto che i guadagni economici e la presenza di relazioni con partner fissi secondo i ricercatori fossero alla base della loro definizione di felicitá. Questo ha portato alla costruzione di domande come “Indica su una scala da 1 a 10 quanto sei soddisfatto del tuo lavoro”. L'implicito sottostante alla costruzione della domanda è: il livello di soddisfazione è necessariamente legato al lavoro. Ma come si fa a rispondere a questa domanda se il lavoro non è una prioritá, se non lo si ha e non lo si cerca, o se si è trovato un impiego che ci garantisce sicurezza ma che non ci piace? Inevitabilmente chi concepisce e vive il lavoro nei termini sopra menzionati o non risponde o è costretto dalla formulazione delle domande a rispondere fornendo risposte tali da comunicare un vissuto di insoddisfazione, che peró non sempre rispecchiano il modo in cui ogni persona lo vive, dal momento che la domanda non tiene conto della soggettivitá di ognuno e dell'importanza che ciascuno attribuisce al lavoro e al guadagno in relazione alla felicitá. In altre parole: non è detto che per tutti il lavoro o il guadagno siano indici di felicitá. È possibile proporre un discorso analogo per quanto riguarda la presenza di una relazione con un partner stabile: chi non è sposato o è single per scelta o ha molte relazioni senza partner fissi, se interrogato sul livello di soddisfazione della sua relazione di coppia, o non risponde o ricade in risposte che indicano insoddisfazione, risposte che peró non sempre rispecchiano l'effettivo legame che una persona stabilisce tra felicitá e presenza di un partner stabile nella propria vita. In altre parole: qualcuno potrebbe essere felice anche senza avere un partner fisso, ma per come sono formulate le domande dell'intervista, questa possibilitá non è contemplata. Potremmo allora concludere: non per tutti il lavoro o una relazione con un partner fisso sono i termini principali secondo i quali stabilire la propria felicitá. Gli studi sulla misurazione della felicitá risentono di questo vizio di procedura a mio avviso.
Anche Balducci e Chelli, in un loro articolo concludono che gli indici per misurare la felicitá
risentono: "di una forte arbitrarietà nella procedura di selezione delle dimensioni da considerare (i nove domini) e nella struttura delle domande. Tale caratteristica rende l’indicatore facilmente manipolabile e distorcibile da parte di chi lo promuove, con il rischio di valutare il benessere che i promotori vogliono che la società abbia, anziché quello effettivamente sperimentato dagli individui".

Altre difficoltá nella misurazione della felicitá
1) In altri articoli che riassumono i modi con cui oggi si misura la felicitá emergono dubbi metologici nella conduzione delle ricerche: è difficile stabilire quanto fattori oggettivi che stanno alla base della felicitá e/o del benessere soggettivo (per esempio lo stato di salute, che in tutte le culture viene riconosciuto come importante) si possano conciliare con fattori piú soggettivi. Va detto inoltre che i dati per la raccolta dei fattori soggettivi sono piú difficili da raccogliere, da sistemazzare e da confrontare: realizzare interviste a domande aperte (modalitá diffusa per raccogliere dati soggettivi) implica, infatti, una grande variabilitá di risposte e un maggior dispendio di tempo ed energie da parte dei ricercatori, rispetto ad un questionario con risposte precostituite.
2) Secondo altri autori un altro limite è la possibilitá che alcune persone o culture non valutino realisticamente il proprio benessere, fornendo risposte troppo pessimiste o troppo ottimiste (potrebbe essere che in Italia tendiamo a vedere troppo nero e per questo risultiamo uno dei paesi meno felici in Europa? Mentre invece in Europa dell'est sono piú ottimisti in questa valutazione e dunque risultano piú felici degli italiani?). 
3) Anche la cultura e le diverse sub-culture presenti in uno stesso Stato potrebbero avere criteri soggettivi diversi per stabilire cosa sia la felicitá, complicando ulteriormente la raccolta dei dati che finora sembra essere fondata sulla provenienza geografica (per esempio i risultati vengono forniti affermando: "il grado complessivo di benessere soggettivo in Italia è... mentre in Norvegia è..."). 

Ma allora misurare la felicitá è possibile? Misurare la felicitá è una cosa piú complessa di quanto sembri e ad oggi pare non ci siano metodi che tengano conto di tutte le variabili possibili, soprattutto soggettive, non ancora sufficientemente esplorate e indagate. Le misurazioni e i dati quantitativi di cui disponiamo, è importante ricordarlo ancora una volta, derivano spesso da preconcetti dei ricercatori che stabiliscono a priori quali criteri definiscono la felicitá o il benessere soggettivo. Criteri che non è detto che valgano per tutti. Pertanto tali risultati sono parziali, incompleti e non generalizzabili.
Qualcuno forse a questo punto si chiederá: se non è possibile misurare con precisione la felicitá, come fa uno psicologo a sapere se una terapia sta andando bene o no e se il cliente sta migliorando la propria vita, diventando piú felice? Questo argomento da solo meriterebbe un articolo a sé, visto quanti sono i modi per capire se una terapia sta andando bene o no! Per ora basta sapere che lo psicologo, quando si trova a colloquio con una persona nel suo studio, non fa il ricercatore, e come tale non deve riassumere in una ricerca i dati di un'intera popolazione (questo è compito del ricercatore); compito dello psicologo è tenere conto della soggettivitá di una singola persona nella definizione della propria felicitá (eventualmente considerando anche le persone significative intorno a questa persona). Potrá farlo allora con domande come:  
-"Cosa ti rende felice oggi?";
- "Se domani come per magia ti svegliassi senza il tuo problema, da cosa di accorgeresti di stare meglio? Quali segnali, quali indicatori ti farebbero dire che stai bene?"; 
-"Quali obiettivi e quali aspettative hai nei confronti del percorso di terapia? Dove vogliamo arrivare durante questo percorso insieme?"; 
-"Se tu mi dovessi dire su una scala da 1 a 10 quanto era presente il tuo problema quando abbiamo iniziato a vederci e quanto lo è adesso, cosa mi diresti? Dove ti collochi? E dove vorresti arrivare?" (E qualora la persona abbia evidenziato un progresso, come per esempio un passaggio da 0 a inizio terapia a 5 a metá terapia si puó aggiungere: "E come hai fatto a passare da 0 a 5?". Tale domanda serve anche per consolidare il cambiamento avvenuto, rendendo ancora piú chiari alla persona stessa gli elementi che ha messo in atto per migliorare la sua condizione).

E per te cos'è la felicitá? Cosa ti rende felice oggi? Scrivilo nei commenti se ti fa piacere!


Fonti:
- Madri, il diritto alla felicità è soffocato da una vita in apnea, tratto da il Fatto Quotidiano, 15 gennaio 2016: http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/01/15/madri-il-diritto-alla-felicita-e-soffocato-da-una-vita-in-apnea/2378242/





mercoledì 13 gennaio 2016

13 spunti per avviarsi alla professione di psicologo

In questo periodo dell´anno alcuni colleghi hanno superato l´esame di stato abilitandosi alla professione. A questo punto torna alla ribalta una questione su cui tutti noi psicologi costantemente ci interroghiamo: come avviarci alla professione? Tempo fa ho giá scritto un articolo sul tema (qui: come avviarsi alla professione di psicologo ), ora aggiungo qualche spunto in piú. 

Di seguito gli spunti in piú:
1) per cominciare ad avviarci scegliamo uno specifico settore nel 
 quale ci sentiamo competenti e che ci piace (in gergo si dice 
“costruire la propria nicchia”). Leggiamo libri e articoli sul tema, vediamo cosa hanno giá fatto altri professionisti in tale settore, prendiamo qualche spunto da loro e inseriamoci anche a noi in modo propositivo e creativo. Meglio ancora se ci inseriamo su una strada ancora poco battuta.
2) In Italia siamo centomila psicologi abilitati (non sto scherzando, le cifre sono proprio queste): chiediamoci perché una persona dovrebbe scegliere proprio noi tra tanti? Cerchiamo quindi un modo per distinguerci, per non risultare identici agli altri centomila.
3) Il settore di cui ci occupiamo, le modalitá e i luoghi in cui ce ne occupiamo possono fare la differenza. Si stima che una persona prima di contattarci per chiedere una consulenza avrá interagito con noi almeno sette volte: magari ci ha visto di persona a una conferenza/serata informativa, ha letto qualcosa di noi sul nostro sito o blog, ha letto sui siti di elenchi di psicologi le risposte che diamo agli utenti della community… Diversificare i luoghi in cui ci proponiamo di persona e online è una buona strategia.
4) Metterci nell´ottica del potenziale cliente: come cerca il professionista? Si fa consigliare da qualcuno (medico, parenti, amici)? Cerca in internet? Cerca sulle pagine gialle? Quale bisogno ha e come lo soddisfa? Come risolve i suoi problemi? Puó essere utile far sí che le persone sul territorio in cui lavoriamo ci conoscano, creando una rete con altri professionisti e persone intorno a noi che parlino di noi ad altri è fondamentale.
5) Attenzione all´immagine che offriamo di noi: se ci proponiamo come competenti, affidabili e credibili in un certo settore, anche la nostra immagine esterna è opportuno che sia coerente con ció. Per esempio se ci collochiamo lavorativamente nei settori “famiglia, figli, relazioni” e appena riponiamo i panni dello psicologo ci mettiamo con gli amici o sui forum a criticare e sparare a zero sul matrimonio e sulla famiglia, ambito di cui ci occupiamo, questo non ci aiuterá (è un esempio estremo che serve a far passare il concetto).
6) NON ci aiuterá criticare e lamentarci di counselor, coach, altri colleghi piú o meno formati, Ordine che non ci tutela abbastanza. È un´abitudine piuttosto comune scaricare sugli altri le responsabilitá, ma pensiamo piuttosto a cosa possiamo fare NOI in prima persona per promuoverci e farci conoscere.
7) NON ci aiuterá nemmeno criticare il nostro corso e percorso di studi. Se studiamo ad esempio psicologia dello sviluppo e scopriamo che non fa per noi, non ci piace come sono condotti gli insegnamenti, non risponde alle nostre aspettative, teniamo conto che possiamo anche cambiare corso. Che immagine di competenza e credibilitá diamo se critichiamo persino ció che abbiamo studiato? Un potenziale cliente penserá davvero che possiamo aiutarlo, se siamo noi stessi I primi a criticare ció che abbiamo studiato? Lascio a ciascuno le proprie risposte.
8) Il confronto con altri colleghi è sempre utile: supervisioni, un percorso di terapia personale se se ne sente la necessitá, chiacchiere con i colleghi, accogliere le critiche costruttive sono sempre ottime opportunitá.
9) Non arrenderci di fronte agli ostacoli e alle difficoltá, ma continuare con costanza, perseveranza, passione ed entusiasmo nel perseguimento dei nostri obiettivi.
10) Puó rivelarsi utile preparare e compilare una tabella con gli obiettivi e le attivitá da portare avanti ogni mese per promuoversi. Diversi studi mostrano che scrivendo e pianificando i nostri obiettivi e attivitá è piú probabile che le porteremo a termine. Ma attenzione a porci obiettivi realistici e da portare avanti a piccoli passi (se decidiamo di scrivere il nostro primo articolo per blog o sito internet, porci come obiettivo l´avere diecimila follower in una settimana è piuttosto irrealistico).
11) Quando finiamo l´universitá e il tirocinio post laurea, una grande risorsa che abbiamo è il tempo: utilizzarlo per farci conoscere, scrivere articoli, organizzare serate informative e conferenze, per leggere e per informarci, anche se non porta un immediato ritorno economico, non è tempo perso.
Se sentiamo la pressione delle esigenze economiche, possiamo considerare di svolgere anche qualche altra attivitá mentre perseguiamo il sogno di fare gli psicologi (io per esempio mi sono pagata buona parte della scuola di specializzazione vendendo cosmetici e dando ripetizioni). Coltivare altre competenze trasversali a quelle dello psicologo è a mio avviso un valore aggiunto.
12) Leggere, leggere, leggere e non solo su argomenti di psicologia, ma anche su argomenti di diritto, economia, marketing, romanzi, rimanendo curiosi e informati su ció che avviene intorno a noi (questo forse in parte l´ho giá scritto nel precedente articolo che ho dedicato al tema dell´avvio alla professione, ma ribadirlo è utile).
13) Confrontarsi con altre culture puó tornarci utile per ampliare la nostra prospettiva, quindi se ne abbiamo la possibilitá, cerchiamo anche di fare viaggi e soggiorni all´estero (per me trascorrere periodi anche lunghi in Germania, lavorando lí come psicologa e conoscendo persone provenienti da vari Paesi del mondo, è stata una grande palestra di vita, con molti risvolti utili anche per la professione).

Detto ció, in bocca al lupo a tutti per l´avvio e/o il proseguimento delle attivitá.