lunedì 3 novembre 2014

9+4 atteggiamenti e fattori di stabilità di coppia

Come si fa a restare insieme a lungo? Cosa consente ad una coppia di sopravvivere e di non giungere alla rottura? Dopo il periodo giocoso del corteggiamento reciproco e dopo le prime settimane di idillio in cui ci si conosce a vicenda e si vive su una nuvoletta rosa pensando che la storia d'amore col nostro partner è la cosa più bella che ci potesse capitare nella vita, si arriva a un momento in cui ci si accorge delle spesso inevitabili differenze in abitudini, valori, modi di pensare, stili di vita, obiettivi, esigenze ed ambizioni. Dico inevitabili perché una coppia è fatta da due individui che sono diversi e questa differenza a volte, invece di essere ritenuta occasione di arricchimento e miglioramento, è pensata come un ostacolo a se stessi o alla coppia. Ma c'è una buona notizia: ci sono una serie di fattori e atteggiamenti che, se attuati, ne garantiscono la stabilità. Vediamoli insieme.



Per "atteggiamenti" intendo i modi di fare e di porsi dei due partners uno nei confronti dell'altro che sono consapevoli, intenzionali, cioè sotto il controllo attivo della persona, e modificabili. Vi sono persone che attuano atteggiamenti positivi e protettivi della coppia come se fosse una cosa naturale, quasi senza accorgersene ed altre invece che faticano a capire se e dove sbagliano e, se manca questa consapevolezza, di conseguenza diventa spesso anche difficile capire come cambiare la situazione. Scrivo l'elenco che segue quindi con la speranza di aumentare la consapevolezza dei lettori in tal senso e di metterli nelle condizioni di capire quali sono le aree in cui è auspicabile una modifica dei singoli o della coppia per garantirne la stabilità, suggerendo anche possibili soluzioni e strategie per il cambiamento.

1) Pensarsi come coppia e non solo come singoli:  ciò significa sapere che non si può più solo pensare per se stessi e scegliere ciò che si vuole a proprio piacimento. Ora che stiamo insieme, bisogna pensare anche a come l'altro vede le mie scelte, idee, abitudini personali. Quello che prima (quando si era single) per ciascuno era scontato, quello che non necessitava di essere motivato in quanto sapevamo che andava bene per noi, in coppia non è più tale. Dato che non siamo più da soli, occorre tenere presenti e conoscere anche le idee, esigenze, abitudini dell'altro.

2) Dialogo: come si fa a conoscere le idee, esigenze, abitudini e obiettivi dell'altro? Un po' osservandolo, ma soprattutto parlandoci. "Cosa ti aspetti dalla nostra vita insieme?", "Come vedi il nostro futuro insieme?", "Quali sono le cose che ti piacciono di me? E quali quelle che ti infastidiscono? Fino a che punto tu puoi sorvolare su esse o io cambiarle?", "Come e con chi ti piace trascorrere il tempo libero?", "Dove vorresti abitare?" sono alcuni esempi di domande che aprono discorsi su questioni che forse per alcuni sembrano di poco conto, ma invece sono importanti da sapere per conoscersi meglio e sapere come "muoversi" insieme come coppia. Attenzione: non facciamo le prime tre domande che ho citato finché la coppia non si è creata e consolidata, perché alcuni si potrebbero sentire messi sotto interrogatorio,  soffocati da domande del genere e infine pensare che stiamo correndo troppo, mentre invece per loro c'è solo la curiosità iniziale di conoscerci e vedere se la relazione può iniziare.
Del dialogo fanno parte anche talvolta i litigi e le discussioni: a differenza di quanto si può pensare, essi non sono necessariamente negativi, ma possono essere un'interessante occasione di confronto per comprendere meglio i bisogni dell'altro.

3) Affetto e dimensione del piacere: può sembrare scontato, ma vale la pena ripetere che il voler bene e l'amare la persona con cui stiamo può portarci a compiere azioni o cambiamenti per il bene della coppia che mai avremmo immaginato. Parlando di dimensione del piacere, mi riferisco in senso ampio al fatto che quando si sta con il proprio partner in genere ci si sta soprattutto perché si sta bene con quella persona. Qualora questi aspetti dovessero venire meno nel corso del tempo, si può provare a recuperarli pensando ad esempio: "Cosa mi ha fatto decidere di stare con lui/lei?", "Cosa mi faceva dire quando l'ho conosciuta che quella era la persona giusta per me?", ricordando però anche che le persone cambiano nel tempo e in questo cambiamento possiamo trovare o elementi nuovi che pure ci piacciono o anche elementi che non ci piacciono. Sta al singolo poi capire se gli elementi che non piacciono possono essere accettati e la relazione può essere comunque portata avanti nonostante questi.

4) Accordo: la stabilità di coppia si regge molto anche sull'andare d'accordo e prendere decisioni di comune accordo su temi di diverso genere e importanza (dall'educazione dei figli, a dove passare il weekend, a quando accendere il riscaldamento in casa o a cosa si mangia per cena stasera). E se io voglio andare al mare e lui in montagna? E se io ho caldo e lui freddo? E se l'accordo non si trova? I prossimi due punti, ovvero adattamento e apertura al compromesso, rispondono a queste domande e la conseguenza di essi di solito è il raggiungimento di un accordo.

5) Adattamento: già Darwin circa un secolo fa affermò che le specie che sopravvivono non sono nè le più forti nè le più intelligenti, ma quelle che si adattano di più, ovvero quelle che man mano che si modifica l'ambiente sono flessibili, disposte al cambiamento e in grado di evolversi. Questo vale anche per una coppia: dal momento che pur essendo in coppia siamo individui diversi, venirsi incontro e attuare dei piccoli cambiamenti negli stili di vita abituali personali, nelle esigenze e negli obiettivi di vita è uno dei pilastri per la longevità di coppia. Attenzione: la capacità di adattamento è soggettiva, cioè c'è chi è capace di adattarsi più facilmente e chi invece fa più fatica. Se assumiamo che l'obiettivo finale è la stabilità della coppia, è implicito che per il bene di essa potrà capitare che solo uno dei due (il più adattabile e aperto al cambiamento) potrà adattarsi e modificare alcuni dei suoi atteggiamenti per mantenere la stabilità, eventualmente anche accettando l'immobilità ed errori ripetuti dell'altro. Questo lo sottolineo perché mi è capitato spesso di sentire persone che dicono: "Eh però così non va bene, sono sempre io che vado a trovarlo, invece lui non mi viene mai incontro". Valutate se per voi è meglio stare comodi a casa propria (da soli nel caso che l'altro non possa raggiungervi per impossibilità economica o di altri impegni o altro) o se per poter stare insieme all'altro potete accettate qualche piccolo adattamento come spostarsi di tanto in tanto.
Un esempio di adattamento: vi sono persone che, nonostante ripetuti tradimenti del proprio partner e nonostante questa situazione a loro non andava a genio e lo hanno fatto presente all'altro, si sono adattate a questo pensando per esempio: "L'importante è che alla fine lui/lei torna sempre a casa da me e non mi abbandona per qualcun'altro". Alcuni considerano "fesse" persone che fanno questi ragionamenti, per me invece sono un esempio di adattamento.

6) Apertura al compromesso: questo discende dal punto precedente. Se per il bene della coppia accettiamo di poter modificare qualche nostra idea, abitudine o obiettivo di vita, dovremmo anche tener presente che spesso la vita non è fatta di soluzioni ideali, ma di migliori compromessi. Questo implica che a volte occorre anche rinunciare alle proprie esigenze e fare qualche sacrificio. Negli esempi citati precedentemente (nel punto dedicato all'accordo) alcuni compromessi potrebbero essere: "Ok, questo weekend andiamo al mare così facciamo contenta me, il prossimo andiamo in montagna così facciamo contento te" (lo stesso potrebbe valere per qualsiasi altra attività come andare al cinema vs passare la serata in casa, vengo a trovarti io vs vieni a trovarmi tu). Nel caso del riscaldamento acceso vs spento le soluzioni possono essere molteplici: si può concordare determinati orari in cui tenerlo acceso e altri in cui tenerlo spento, e in caso il più caloroso abbia caldo si può spogliare o se il freddoloso ha freddo si può vestire di più, oppure si può optare per il riscaldamento di alcune stanze ma non di altre, in maniera da garantire a ciascuno uno spazio dove sta bene e dove andare di tanto in tanto a refrigerarsi o a riscaldarsi. Per gli orari di sonno diversi (legati a lavori particolari che richiedono di alzarsi molto presto la mattina o di andare a letto molto tardi la sera) qualora uno dei due non possa adattare i propri orari all'altro causa le proprie esigenze di lavoro, una buona soluzione potrebbe essere quella di andare a letto ciascuno all'orario più consono alle proprie esigenze di lavoro, possibilmente avendo cura di non disturbare il sonno dell'altro quando si alza o arriva a letto. Questi sono solo alcuni possibili esempi di compromesso, ogni coppia parlando poi potrà trovare quello che meglio si adatta alle specifiche esigenze.
Ci tengo a sottolineare l'aspetto del compromesso perché ho visto coppie rompersi per non essere riusciti a  trovarne uno, per esempio nei casi di gestione del tempo libero (stiamo in casa o usciamo?) o anche della convivenza con animali in casa (il cane può stare in casa oppure può stare solo nella cuccia fuori?).
Può rivelarsi più complesso trovare un compromesso se il motivo di disaccordo sono le ambizioni lavorative/di carriera vs la famiglia: entrambi gli ambiti, infatti, sono considerati da molti centrali per l'autorealizzazione di se stessi e questo vale soprattutto nella fascia di età dai 25 ai 40 anni dove di solito si sta cercando di costruire le proprie certezze di vita. La situazione ideale sarebbe quella di riuscire a portarli avanti entrambi, ma talvolta questo potrebbe non essere fattibile. Le possibili soluzioni allora potrebbero essere quelle di dedicarsi prima alla carriera e poi  alla famiglia (o anche viceversa) oppure fissare delle priorità, valutando anche costi e benefici dell'una e dell'altra opzione, ricordando che scelte del genere sono portatrici spesso di un alto grado di incertezza che è caratteristico dei tempi attuali e che dovremmo imparare ad accettare.

7) Fiducia: se sto con una persona, dovrei sapere che posso affidarmi a lui e fidarmi, credere, essere sicuro di quello che fa anche quando io non sono vicino a lui/lei. La fiducia può essere minata dall'aver vissuto esperienze come tradimenti o abbandono, dai quali nasce un senso di insicurezza, ma ciò non significa che non possa essere ricostruita. Come fare per ricostruirla? Metaforicamente prendiamo le nostre preoccupazioni connesse a possibili futuri tradimenti da parte sua e, dopo esserci accertati che sono preoccupazioni senza motivo, chiudiamole dietro una porta e buttiamo la chiave. In altre parole: se sentiamo che abbiamo bisogno di rassicurazioni, di voler controllare cosa fa l'altro o di chiamare venti volte in due ore il partner per sapere dov'è e con chi, cerchiamo di diminuirle gradualmente, di eliminarle e soprattutto di credere a ciò che ci dice, perché il più delle volte corrisponde a verità. Dico questo perché spesso l'evasione dell'altro dalla relazione, la ricerca di un'amante o l'abbandono sono più dovute al fatto che si sente stressarlo/a da queste preoccupazioni e richieste di rassicurazione che l'altro vede come immotivate non al desiderio del partner di abbandonare e tradire.
8) Intimità e condivisione: questi termini si riferiscono alla possibilità di costruire degli spazi in cui vivere la dimensione dello stare insieme e del fare qualcosa insieme (=condivisione) da soli e senza intromissioni da parte di persone esterne sentendosi liberi e autentici nell'esprimere i propri sentimenti, emozioni o la propria passionalità anche in senso fisico (=intimità). Rientra quindi nell'intimità anche la dimensione erotica e passionale. Cerchiamo di fare sì che la presenza di genitori, suoceri o figli non elimini del tutto la possibilità di avere uno spazio solo per la coppia. Di tanto in tanto per ritagliarci questi spazi proviamo ad affidare momentaneamente i figli a una persona di fiducia o a spegnere cellulari, pc e campanelli di casa.

9) Comprensione, perdono, accettazione e rispetto: conoscere le idee dell'altro, riconoscendone le buone ragioni e il senso delle sue scelte e azioni, essere pronti a perdonare gli errori (anche perché tutti sbagliamo!) e accettare questi e il fatto che ci sono degli aspetti che nè noi nè l'altro possiamo modificare, sono altri elementi che garantiscono la stabilità di una coppia.

Oltre a questi atteggiamenti più facilmente modificabili ci sono fattori più difficilmente modificabili che proteggono la stabilità di coppia. Mi riferisco a particolari situazioni socio-economiche e di contesto che cito a titolo informativo:
- presenza di figli: quando ci sono figli, una coppia è meno propensa a rompersi, proprio per garantire migliore stabilità ai figli.
- Religione: il fatto che uno dei due partner o entrambi siano credenti è un fattore protettivo della coppia. Se si crede infatti a valori quali l'amore, il perdono, l'altruismo, la fedeltà e l'indissolubilità del matrimonio, è raro che la coppia si rompa.
- Livello socio-economico e livello di istruzione analogo tra i due partner oppure livello socio-economico e livello di istruzione superiore dell'uomo rispetto alla donna. In caso contrario, se è la donna ad avere status e istruzioni superiori la coppia è più facile che si rompa, perché l'uomo più difficilmente di una donna è disposto ad accettare queste differenze, che sono legate alla cultura e al ruolo sociale tradizionale delle donne.
-Uno dei due o entrambi i partner lavorano a casa: questo diminuisce notevolmente la presenza di tradimenti, poiché stando in casa si riduce anche la possibilità di conoscere altre persone e nella fattispecie colleghi di lavoro, che pare siano la categoria con i quali più spesso si tradisce.

Certo la percezione di ciascuno di questi ultimi quattro fattori è comunque molto soggettiva. I fattori che ho riportato si riferiscono a risultati generali ottenuti da ricerche svolte in Europa, ma che non è detto che possano essere estese a tutti.

Detto questo, sono curiosa di sapere da voi quali atteggiamenti vi riesce facile adottare in coppia? Su quali invece pensate invece di dover lavorare e migliorare? Aspetto i vostri commenti!

martedì 30 settembre 2014

Come avviarsi alla professione e diventare buoni psicologi e psicoterapeuti

 Il bello dei blog e dei social network è che mi permette di interagire con diverse persone, tra cui colleghi, aspiranti psicologi e studenti, che mi offrono l'opportunità di confrontarmi con loro su temi importanti relativi alla professione, a come avviarsi, agli sbocchi lavorativi per gli psicologi. Visto che tali questioni mi vengono poste spesso, oggi ho deciso di scrivere un post che riassume i suggerimenti per l'avviamento alla professione e per diventare dei buoni psicologi e psicoterapeuti di professionisti già avviati e docenti universitari o di scuola di specializzazione, suggerimenti che ho raccolto nel tempo confrontandomi costantemente con queste persone, riassunti e "riarrangiati" da me per renderli chiari ai miei lettori.



L'immagine di apertura di questo articolo non è scelta a caso e rappresenta un allenamento. Così come un buon corridore per vincere ha bisogno di molto allenamento fisico e mentale, di passione, di conoscere le potenzialità del proprio corpo, il percorso, le abilità degli avversari, di sapere quali sono i suoi limiti e come superarli, di credere in se stesso e di immaginare la vittoria, allo stesso tempo non arrendendosi per una sconfitta, per diventare buoni psicologi e riuscire a lavorare come tali è necessario un allenamento che richiede conoscenze psicologiche, umane, relazionali, sociologiche, economiche e di contesto, alcune delle quali non si acquisiscono solo studiando ma anche informandosi per conto proprio e interagendo con le persone, unito a molta pratica di osservazione, di dialogo con gli altri per comprendere come si vedono, cosa è importante per loro, i loro punti di forza, i loro problemi e come superarli nel modo più adatto per loro.
Ecco quindi una serie di suggerimenti per realizzare questo "allenamento".


-Premesse per riuscire a lavorare bene sono "allenarsi" e costruire la propria competenza, ovvero studiare per conoscere molto bene ciò di cui si sta parlando, comprendere chi abbiamo di fronte e adeguare il nostro linguaggio al nostro interlocutore, avendo cura di esercitarci anche su aspetti quali fonetica, toni, pause, stile discorsivo; leggere molto e non solo libri di psicologia (A. Salvini). Lo studio, l'impegno e il ricordarci di adeguarci a chi abbiamo di fronte, in altre parole, sono la base di qualsiasi competenza e successo lavorativo.
-Dedizione e piccoli passi, ovvero mettere tutti noi stessi in ciò che facciamo e lavorare per piccoli obiettivi concreti e realizzabili sono senz'altro altri elementi che ci aiutano ad arrivare dove vogliamo. Una volta terminati gli studi, può essere utile andare a bussare alle porte di medici e avvocati per chiedere che loro ci mandino pazienti. L'equivalente del corridore che studia e conosce i propri avversari per noi psicologi è osservare molto chi ci circonda, ponendoci con un atteggiamento di curiosità piuttosto che di giudizio o di sicurezza legata al nostro sapere, essendo consapevoli che noi non sappiamo niente di chi abbiamo di fronte (D. Romaioli).
-Serve tanta pazienza ed è opportuno cercare di sempre di fare qualcosa, mai restare fermi (E.Faccio) e questo vale sia dal punto di vista dello studio e approfondimento, sia dal punto di vista del promuoversi e cercare nuove opportunità di lavoro. Immaginate a un corridore che voglia qualificarsi per una gara importante: credete che possa permettersi di stare fermo due mesi senza allenarsi?
-Ribadisco ancora la pazienza ed inoltre aggiungo la consapevolezza che molte porte si aprono alla fine del percorso di studi. E' importante anche garantire presenza costante nel posto in cui si intende lavorare, disponibilità e reperibilità (A. Iudici). Se il corridore sa di avere una gara in un certo posto un certo giorno, sa che dovrà trasferirsi lì con un certo anticipo, per conoscere il campo, il clima, fare degli allenamenti sul posto per arrivare ancora più pronto alla sua gara.

-Può essere utile scrivere libri (ma anche ebook, blog, crearsi una pagina Facebook) in modo chiaro e semplice alla portata di tutti per farsi conoscere (M.V. Masoni). Come ogni corridore che si avvia sulla strada del professionismo ha bisogno di uno sponsor per farsi conoscere, noi psicologi siamo sponsor di noi stessi: nell'era di Internet in cui la maggior parte delle persone si informa attraverso il web e prima di confrontarsi faccia a faccia con un professionista vogliono saperne di più su di lui e sulle sue competenze, il nostro miglior biglietto da visita è proprio quello che scriviamo, che può dire molto di noi ai nostri interlocutori, sia su quello che sappiamo, sia su come ci rivolgiamo a chi non ci conosce.
-Sempre legato al tema di Internet, promuoversi attraverso Internet e conoscerne le potenzialità, anche pubblicando i feedback dei propri clienti sul proprio sito. Ciò significa che se ci prendiamo l'impegno di aprire un blog, un sito o una pagina Facebook, ci impegnamo anche a tenerla aggiornata, ritagliandoci in agenda un tempo (quotidianamente, settimanalmente o comunque cercando di rispettare scadenze precise) per curare il nostro blog o pagina: questo perché una pagina poco aggiornata raramente viene seguita.
La strategia di promuoverci attraverso Internet comunque non è l'unica da portare avanti, ma va affiancata anche ad altre strategie di promozione, come per esempio cercare di fare almeno 5 colloqui a settimana con medici diversi per farci inviare qualche paziente (C. Fasola). Unito a questo è utile organizzare delle serate informative gratuite ed aperte a tutti nella propria città o paese su temi psicologici per farci conoscere e sensibilizzare le persone sull'utilità della psicologia. Tali serate possono essere tenute in biblioteche, oratori e teatri parrocchiali, scuole (previa concessione del sindaco, sacerdote o dirigente a seconda dei casi con cui occorre accordarsi per tempo prima di organizzare l'evento) o presso il proprio studio.
-Fare esperienza e aprire il proprio studio, possibilmente cercando di non avere o tenere al minimo le spese di affitto. Per esperienza si intende sia l'osservazione e dialogo continui con qualsiasi persona (già menzionati prima), ma anche esperienza in enti pubblici attraverso i tirocini e per conto nostro avviando lo studio dopo l'abilitazione o continuando la collaborazione con cliniche, ospedali, cooperative anche dopo l'abilitazione. Un consiglio per i laureati che si accingono a fare il tirocinio post-laurea: non limitatevi a sondare la disponibilità di una struttura nell'accogliervi per fare tirocinio, ma informatevi anche col vostro tutor su quali attività e mansioni svolgerete nel corso di tirocinio. Specifico questo perché molto spesso sento persone che si lamentano: "Al tirocinio post laurea mi hanno solo fatto fare la segretaria e le fotocopie, ma non la psicologa! E' stato un tirocinio inutile!", al che la mia domanda sorge spontanea: "ma tu prima di accettare ti sei informata su cosa ti avrebbero fatto fare?". Se l'attività di segreteria e fotocopie non corrisponde all'esperienza che abbiamo bisogno di fare, se lo sappiamo prima la evitiamo e cerchiamo qualcos'altro più in linea con le nostre aspettative.
-Per aprire uno studio è utile inizialmente associarsi con i colleghi, in modo da abbattere i costi di affitto e creare una rete di lavoro con i colleghi (A.Ravasio e C.Mazzini). Anche nel caso degli sportivi, lavorare in squadra può migliorare la nostra performance e non vale solo per gli sport di squadra.
-Collegato al punto precedente, è utile scambiare idee, informarsi, confrontarsi e intessere relazioni non solo con i colleghi e con chi è più avanti di noi nel percorso lavorativo o di studio, ma anche con amici, conoscenti e altre professionalità può essere utile per aprirci delle porte (spesso alcuni lavori arrivano in modo imprevisto: magari l'amica di un amico del collega di mio marito lavora in un posto che mi interessa e potrei mettermi in contatto con questa persona per saperne di più).
-Imparare ad essere un po' attori e un po' prestigiatori, ovvero imparare ad utilizzare un linguaggio, mimica, tono, postura adeguati all'effetto che intendiamo suscitare nel nostro interlocutore, sapendo anche come gestire la sua attenzione; questo implica anche una buona capacità immaginativa e di anticipazione (G. Nardone, M. Rampin, M.V. Masoni).

-Utile anche coltivare identità alternative senza fossilizzarci su quella di psicologi ed imparare ad essere flessibili per essere pronti a reinventarci e rimetterci in gioco in altro modo qualora le cose per noi non andassero come sperato (M. Rampin) e se abbiamo la necessità di guadagnarci da vivere, se all'inizio della professione il lavoro di psicologi non ci basta per mantenerci, cerchiamo di avere l'umiltà e di nuovo la flessibilità di accettare anche altri lavori. Necessità vs. il sogno di una vita è una questione piuttosto complessa, ma ritengo che se davvero crediamo in un sogno, dobbiamo essere disposti anche a fare qualcos'altro per mantenerci mentre gettiamo le basi per realizzarlo e, allo stesso modo del corridore che non si arrende di fronte alle prime difficoltà e al fatto di aver perso una medaglia per appena un centesimo di secondo, anche noi non scoraggiamoci di fronte alle prime difficoltà o allo studio che fatica ad avviarsi.
-Flessibilità significa anche disponibilità: più ci adattiamo, più è facile che riusciremo a lavorare. Se cerchiamo il lavoro comodo sotto casa, cucito su misura sulle nostre pretese è possibile che ci voglia più tempo per avviarsi, perché le opportunità non sono sempre presenti nel momento e nel luogo che decidiamo noi. Sul termine adattamento, non vi è però un accordo definitivo su cosa si intenda in ambito professionale: c'è chi lo pensa come "va bene qualsiasi cosa pur di lavorare" e chi la pensa come "ok essere flessibili, ma ci sono delle cose che proprio non potrei fare". Qui sta al singolo stabilire il proprio grado di adattamento secondo le proprie necessità personali, famigliari, affettive ecc.

-Un atteggiamento propositivo piuttosto che il semplice invio di un curriculum ci rendono immediamente più interessanti agli occhi dei nostri committenti.
-Conoscere la realtà storica, economica ed i trend demografici dei nostri tempi, rilevando i bisogni dell'utenza, ci permette di inserirci e proporci in contesti ancora non battuti. Per questo è utile rimanere aggiornati sui temi di attualità e leggere anche qualche libro di economia. Vi siete accorti per esempio che l'età media di morte è avanzata, con conseguente aumento di anziani, che gli immigrati sono aumentati e che ci sono sempre più badanti soprattutto straniere, che alcuni genitori sono sempre più disorientati nell'educazione dei propri figli e che mettono sempre i figli al primo posto, che all'estero è prevista la figura dello psicologo nei reparti di oncologia? Se ve ne siete accorti, potete ben immaginare che si sono creati bisogni che forse anni fa non c'erano oppure c'erano ma in forma molto più lieve legati alla gestione degli anziani (con tutti i problemi di salute, memoria, autonomia che possono avere), alla formazione del personale preposto alla loro cura come le badanti, ai temi dell'integrazione per gli stranieri, alla formazione dei genitori nei rapporti con i figli, ai temi della psico-oncologia. Ecco, tutte queste aree sono di competenza per noi psicologi.

-Consideriamo la potenza del passaparola: quanti dei vostri amici, parenti e conoscenti sanno che fate gli psicologi? E non mi riferisco al fatto che sappiano quanti clienti avete, ma che sanno che vi state dando da fare per avviarvi come psicologi. Ogni mossa che fate per migliorare la vostra competenza e per promuovervi è una dimostrazione del fatto che state facendo gli psicologi, quindi ditelo. Sembra banale, ma è un elemento che non va tralasciato. Parlare il più possibile del fatto che svolgete quel lavoro è la prima regola che viene insegnata ad un addetto alle vendite ed effettivamente può servire anche per gli psicologi per attirare potenziali clienti. Poco importa che non abbiate ancora un cliente nel vostro studio, da qualche parte bisogna pur iniziare e la percezione degli altri su di voi è sicuramente migliore se dite: "Mi sto promuovendo organizzando questo evento, scrivendo il tal blog, sensibilizzando i cittadini sull'importanza del benessere psicologico, associandomi con i colleghi" piuttosto che "sì sto facendo la scuola di psicoterapia, ma devo ancora vederne i frutti... di pazienti neanche l'ombra finora!".

-E' molto importante credere in se stessi e nella competenza che abbiamo costruito negli anni, cosa che mi sembra manchi un po' a certi neolaureati appena usciti dall'università e agli psicologi ai primi anni di specializzazione. Se è vero che troppa sicurezza nelle proprie capacità uccide la possibilità di migliorare e talvolta anche quella di essere realmente terapeutici per il nostro interlocutore, è anche vero che l'insicurezza a volte ci blocca e così si rischia di non fare nulla per paura di sbagliare o di perdere la faccia. Questa in realtà si rivela più una paura che una possibilità concreta. Vorrei fornire un punto di vista alternativo su questa paura: cerchiamo di esserne orgogliosi, perché è quella ci porta migliorarci costantemente, detto ciò tiriamola fuori quando vogliamo migliorare, ma impariamo a metterla da parte quando ci blocca nel raggiungimento dei nostri obiettivi. Per questo, va ribadito per la seconda volta: ammettiamo l'errore, consideriamolo stimolo per migliorare, non sovrastimiamo gli effetti di piccoli errori che possiamo commettere e ricordiamoci piuttosto che il primo fattore di successo per la terapia è la costruzione di una buona relazione: se si è costruita una buona relazione, il più delle volte il nostro interlocutore non si accorge nemmeno del nostro errore oppure sorvola su di esso, ritenendo comunque di aver ottenuto altri benefici venendo da noi.
Credere in se stessi e costruire competenza significa anche essere disposti a migliorare accettando le critiche costruttive, mosseci con cognizione di causa da chi ha avuto a che fare con noi, ha visto come lavoriamo ed ha realmente a cuore il nostro miglioramento: queste persone possono essere colleghi di scuola, università o lavoro, docenti, tutor di tirocinio generalmente, ma anche persone con cui abbiamo parlato del nostro lavoro. Su tutte le altre critiche, mosse per invidia o da chi non ci ha visto al lavoro, sorvoliamo e ignoriamole: purtroppo ci sono tante persone che ci smontano senza neanche sapere di cosa stanno parlando e altrettante che si divertono a cercare di affossare gli altri perché forse non hanno niente di meglio da fare...
-Facciamo tutto ciò che è nelle nostre possibilità, usando anche immaginazione e creatività, ricordandoci sempre che "il vincente sa che per lo più si perde" (G.B. Shaw) e che chi vuole il modo lo trova, il resto è solo una scusa. Non solo: ricordiamoci anche che ogni limite può essere superato se lo si affronta con le proprie risorse di adattamento, voglia di farcela, curiosità. Per esempio, qualcuno ritiene che lavorare come psicologo all'estero sia impossibile, perché richiede conoscenza elevatissima della lingua e del diverso contesto culturale e di lavoro; io invece conosco persone italiane che ce l'hanno fatta, quindi non sono dello stesso parere.
Quelle raccolte qui sono indicazioni di massima. Non esistono ricette uguali per tutti per diventare buoni psicologi e lavorare come tali, perché ognuno ha un diverso stile, le proprie preferenze per quanto riguarda gli ambiti di lavoro, le esigenze personali e famigliari. Riassumendo, essere psicologi significa sapere, saper fare e saper essere e ogni professionista ritaglia tutto ciò a modo suo.
Detto questo, teniamo anche presente che “Io ho sempre pensato che spesso l’affanno nostro più grosso, è cercare in qualche modo di prepararci a quello che sta per arrivare, cercare di pensare il futuro, di non farsi trovare impreparati, per poi ogni volta vedere che quando ti trovi lì, in realtà, niente è come l’avevi immaginato, e quindi secondo me, il senso più profondo della vita resta semplicemente nel viverla" (Luciano Ligabue).

E voi, come vi state promuovendo? Come siete riusciti ad avviarvi nella vostra professione? Mi fa piacere se mi racconterete le vostre esperienze e se vorrete commentare i suggerimenti qui raccolti. Potete discutere questo articolo anche sulla mia pagina Facebook: https://www.facebook.com/psichecuoreblog



Ringrazio sentitamente tutti i professionisti, colleghi, famigliari, conoscenti e amici con cui ho avuto il piacere di confrontarmi su questi temi e senza la discussione con i quali questo articolo non sarebbe stato possibile. Li voglio ricordare tutti:  i miei docenti A. Salvini, E. Faccio, A. Ravasio, D.Romaioli, A. Iudici, M.V. Masoni, C. Mazzini, M. Rampin, C. Fasola e tutti coloro che preferiscono rimanere anonimi;
-i colleghi di scuola, di tirocini presenti e passati e università: F. Andreolli, B. Bellini, E. Bergo, V. Biagini, A. Bilò, E. Bragotto, S. Bresolin, N. Costa, A. Cortesi, F. Chiarelli, V. Fiorin, A. Franzon, E. Frasson, E. Frescura, S. Gipponi, I. Marcolini, S. Martinazioli, N. Milanese, E. Pasquin, C. Poggi, M. Ronca, F. Zorzo, P. De Nale, T. Sieve, S. Toti, V. Vasile, C. Bertazzo, S. Rossi, P. Guadagnini, D. Guberti, S. Costa, F. Andrisani, E. D'Elia, E. Capovilla, A. Antonello, S. Balasso, C. Ferronato, M. Fiaschi-Schneider;
-gli amici e parenti: A. Gnoatto, M. Taddia, B. Sebastia, E. Saviozzi, F. Koshoffa, le famiglie Canossa, Masetti, Gambassi;
-i fans della mia pagina Facebook, nonchè futuri colleghi, con cui ho spesso il piacere di fare interessanti discussioni: S. Madeddu, G. Crescente e tutti coloro che mi leggono e che mi vorranno suggerire altri spunti di riflessione.

martedì 27 maggio 2014

Tra moglie e marito: così lontani, eppure così vicini

Oggi vi racconto una breve discussione tra due giovani sposi di cui sono stata testimone, sperando che possa dare a tutti i lettori qualche utile spunto per riflettere sulle discussioni tra moglie e marito. Commento questa storia nello specifico, da cui ognuno potrà trarre anche delle considerazioni generali sulle discussioni e sui rapporti di coppia.




Lui: "Questi due primi anni di matrimonio me li sarei aspettati più spensierati, come lo eravamo da fidanzati, non con discussioni periodiche (per fortuna non tutti i giorni!). Mi aspettavo che, se ci fossero state delle discussioni tra noi, sarebbero avvenute più avanti! A volte mi guardo intorno e mi sembra che le altre coppie di sposi siano più felici di noi e che chi ci guarda dall'esterno tutto sommato vedendoci direbbe che a noi non manca niente... Il nostro problema? Siamo entrambe persone testarde e ambiziose, non ci accontentiamo di poco o di quello che abbiamo, che comunque non è poco... Non sarà che siamo noi a costruirci i nostri problemi, mentre invece dovremmo cercare di vivere più serenamente?".
Lei: "Mio marito fa la sue scelte di vita scegliendo sempre la via più ragionevole, mentre io... bè io penso che la strada della razionalità non sempre è la migliore, la vita non è fatta solo di bilanci razionali, ma di affetti, di momenti condivisi e di passioni. Questa diversità di prospettiva è spesso motivo di discussione tra noi. E, parlando di passioni, un mio problema è che vivo sospesa tra il desiderio di stare vicina a mio marito e la passione per il mio lavoro, nel quale do tutta me stessa; mi sembra però che a volte le due cose siano inconciliabili e se facessi una scelta, sarebbe a scapito dell'altra. Se scelgo lui, potrei avere più difficoltà con il mio lavoro, se scelgo il lavoro potrebbe anche allontanarmi da lui... qualunque cosa scelga, finisco comunque per tradire una parte di me e questo non mi piace! Un altro mio difetto è che forse pretendo troppo da me stessa e quando nel lavoro non ottengo i risultati che vorrei, finisco per sfogarmi con mio marito e inizio a discutere con lui sulle scelte fatte e sulle scelte future...".

Commenti. A entrambi dico queste cose: La cosa più bella delle vostre parole è che parlate riferendovi spesso al "noi": segno che per voi la coppia è parte fondamentale del vostro essere, che non pensate più come entità singola ma come "noi". E' lo spirito giusto per affrontare questo momento di impasse! Inoltre siete disposti entrambi a uscirne e a mettervi in gioco per farlo, come dimostra il fatto che discutete il problema tra di voi ed eventualmente ne parlate anche con persone esterne. Questa è un'altra ottima premessa affinchè la situazione migliori.
A lui nello specifico dico: 1) hai fatto una scoperta importante: nella vita non sempre le cose vanno come ci si aspetta, fattene una ragione... benvenuto nel club.
2) Le discussioni solitamente avvengono quando si ha un argomento che ci sta a cuore da condividere con l'altro, ma su cui i pareri di entrambi sono contrastanti. In realtà, se svolte pacificamente, lasciando parlare l'altro, esponendo a propria volta i propri dubbi e lasciando da parte chiusure e nervosismi, le discussioni possono essere una buona opportunità e risorsa per condividere difficoltà e paure e per affrontarle insieme. E la coppia ne esce rafforzata. Iniziamo a vedere nei problemi anche delle risorse, non guardiamoli soltanto con pessimismo! Voi mi pare che riusciate a farlo e su questo siete sicuramente più avanti di altre coppie che ho incontrato. Da questo punto di vista, anch'io se vi guardo dall'esterno dico che non vi manca niente! Avete tutte le risorse per superare questo momento di impasse.
3) Sembra che la logica del confronto sia piuttosto pregnante nello svolgere i tuoi discorsi e che soffri un po' della sindrome che io chiamo "la sindrome dell'erba del vicino". Conoscete tutti il proverbio: "l'erba del vicino è sempre più verde"? E scommetto che avete anche sentito dire: "I panni sporchi si lavano in casa". Tutto questo per dire che, solo perché non lo danno a vedere, non è detto che le altre coppie non abbiano dei problemi, anzi di sicuro ce li hanno, ma non ne parlano con chiunque... Un po' come quando si chiede a qualcuno: "Come va?" e questo risponde: "Bene, grazie". Magari va tutto male, ma non ne vuole parlare con voi, quindi preferisce chiudere il discorso con una risposta che non porta ulteriori domande da parte vostra.  Noi spesso vediamo degli altri solo la facciata che mostrano e confondiamo la finta felicità esibita per felicità reale, per questo finiamo per essere un po' invidiosi e desideriamo avere la felicità che sembra abbiano loro. Un esercizio utile che ti consiglio è provare a fare un tipo di confronto diverso: inizia a osservare gli altri facendo solo attenzione ai loro insuccessi e alle loro infelicità. Scoprirai cose molto interessanti.
Un altro tipo di confronto che utilizzi è: "quando eravamo fidanzati" vs "ora che siamo sposati", contrapponendo la spensieratezza di allora, che ti piaceva, alla pesantezza delle discussioni attuali. Oltre a ciò che ho già scritto in precedenti articoli (non possiamo sperare di rimanere tutta la vita uguali a noi stessi, nè che la relazione rimanga sempre uguale a se stessa, perché noi evolviamo continuamente), chiariamo una cosa: che lo si voglia o no, quando ci si sposa cambia qualcosa. Soprattutto se prima non si ha avuto occasione di convivere, ci si accorge che quando si vive insieme si ha a che fare col bilancio da fare quadrare a fine mese, la spesa e i lavori di casa da fare (non è più mammina che ce li fa, come quando abitavamo con i genitori!) e poi, quando arrivano i figli (anche se nel vostro caso ancora non ci sono), si avrà a che fare con la routine legata alla crescita dei piccoli. Una casa, un matrimonio, dei figli comportano necessariamente delle responsabilità in più e chi non è disposto ad accettare questo farebbe una scelta più saggia se decidesse di non sposarsi. Il processo stesso del diventare adulti comporta delle responsabilità. Sapendo questo, voi cosa scegliete? Restare eternamente fanciulli, cullati dall'amore di mamma e papà, oppure fare autonomamente le vostre scelte, accollandovene ogni responsabilità? E responsabilità significa anche che se ci sono dei problemi o delle questioni da chiarire, se ne parla e se ne discute. 
Ho mostrato finora il lato più impegnativo di un impegno di lunga durata con qualcuno. Ma c'è anche una buona notizia: la spensieratezza di quando si era più giovani non è perduta per sempre! Il mondo non è bianco o nero: ci sono sfumature in mezzo. Avete avuto la fortuna in precedenza di aver già assaporato quella spensieretezza, ora si tratta solo di recuperarla: cosa facevate di spensierato quando eravate più giovani? Ripensate a quei momenti e ricreateli! Può essere utile anche crearne di nuovi, per esempio, attraverso gite, cene a lume di candela e tutto ciò che abbia l'obiettivo di prendervi del tempo solo per voi due. Per riuscire ad assaporare al massimo questi momenti per voi, però, è necessario prima mettersi alle spalle il problema. Se non superandolo del tutto, almeno cercando di metterlo tra parentesi per la durata del "momento spensierato". La messa tra parentesi può riuscire per esempio attuando quella che in gergo psicologico chiamiamo "pratica di esteriorizzazione". L'esteriorizzazione consiste nel trattare il problema (da lui individuato in questo caso nell'ambizione e testardaggine di entrambi) come se fosse una persona reale, con un volto e un corpo. Una volta fatto questo si immagina di far sedere il problema nella poltrona vicino a noi, e rivolgendoci direttamente al problema, si dice a voce alta: "Cara ambizione, cara testardaggine (o qualsiasi altro problema del caso), io vi ringrazio, perché fino ad oggi mi avete fatto ottenere un sacco di cose positive (in questo caso ad esempio è lecito immaginare che questi due elementi siano stati utili a raggiungere una certa posizione lavorativa, una certa sicurezza economica, certi risultati sperati, la capacità di rialzarsi dopo una sconfitta) che senza di voi non sarebbero state possibili; in questo momento però, mentre sto con mia moglie, non ho più bisogno di voi. Ora che so che posso controllarvi, vi richiamerò io ogni qualvolta avrò bisogno di voi (ad esempio in questo caso nel lavoro)".
Va detto anche che ogni età ha i suoi specifici problemi: da adolescenti il problema è di emanciparsi dai genitori e capire chi siamo e cosa vogliamo dalla vita, successivamente il problema è ritagliarsi un proprio spazio dove potersi sperimentare; andando più avanti ancora, attorno ai 30 anni, il problema diffuso è quello di costruirsi qualcosa: una posizione lavorativa/sociale, una relazione, una famiglia, una casa (e voi vi trovate in questa fase); sulla quarantina il problema dell'educazione dei figli diventa pregnante; a 50-60anni si inizia a guardarsi indietro e fare un bilancio delle scelte fatte in passato... Non siete nè la prima nè l'ultima coppia che sperimenta la difficoltà nel costruirsi una posizione e a trovare un equilibrio tra ambizioni lavorative e relazione coniugale.

4) Parlando di problema, visto che esso è stato menzionato da entrambi, importantissimo nel lavoro terapeutico è rilevare, sia con i singoli, sia con le coppie la teoria sul problema, perché è quella su cui poi si andrà a lavorare. Nel nostro caso, entrambi hanno una teoria sul problema ben chiara e definita: lui parla di ambizione e testardaggine di entrambi, lei parla diversità di prospettiva, di scelte inconciliabili e del difetto di pretendere troppo da se stessa. Nel lavoro con le coppie, può essere utile mettere a confronto queste due teorie sul problema e vedere quali aspetti hanno in comune. Verosimilmente, gli aspetti in comune saranno quelli su cui è più facile lavorare, perché vi accordo tra i due partners. Dai due racconti qui emerge chiaramente che entrambi hanno elevate aspettative nei confronti di se stessi, del lavoro e della relazione, che non si accontentano facilmente, anche se quello che hanno raggiunto finora, come dice lui, non è poco.
5) Siamo noi a costruirci i nostri problemi? L'esperienza mi dice che il più delle volte è proprio così. Non solo: trattandosi di un problema di coppia, non è il problema solo di uno, ma è una realtà problematica sancita da entrambi con delle modalità e delle retoriche che sono poco utili da entrambi i lati (la retorica del confronto, la retorica dell' "erba del vicino", la nostalgia del passato di lui, una certa rigidità di pensiero di entrambi, l'immobilità di lei sospesa tra due scelte che le pesa, le aspettative elevate verso se stessa, ma in definitiva anche verso la relazione). Se il problema fosse solo di uno dei due, l'altro non avrebbe difficoltà a tirarsene fuori o a trovare una soluzione o un nuovo adattamento, più utile per l'equilibrio della coppia.

Veniamo ora a lei:
6) Anche tu utilizzi molto la retorica del confronto (altra cosa in comune col marito) che stavolta non è un confronto con gli altri, nè col passato come nel caso di lui, ma proprio un confronto col marito ("mio marito... mentre io..."): ti rendi conto che su alcuni aspetti la pensate in modo diverso e questa cosa probabilmente ti pesa, come anche sembra che ti pesi il fatto stesso di discutere con tuo marito. Anche in questo siete simili: come abbiamo visto prima, anche lui voleva un matrimonio privo di discussioni. Nel suo caso prevaleva però la nostalgia per il passato, nel tuo caso cerchiamo di capirlo attraverso le tue parole: come tu stessa hai detto, vivi di affetti, di momenti condivisi... Tutte cose che mi fanno venire in mente la famiglia del Mulino Bianco, dove tutto è in armonia, tutti vanno d'accordo, mai una lite, mai una discussione... Chiediti allora: che cosa accadrebbe di brutto se quest'armonia andasse perduta? E' idea molto diffusa che se non c'è armonia, la relazione si spezza. E' questa paura di perdere la relazione che porta probabilmente alla tua immobilità e difficoltà a scegliere. Tieni però sempre presente una cosa: in fin dei conti, anche l'immobilità è una scelta, seppur non del tutto consapevole, una scelta che permette di tenere insieme entrambe le due opzioni (e quindi di "non dover rinunciare a una parte di te"), che altrimenti ti appaiono inconciliabili. Ma è davvero doveroso sceglierne una a scapito dell'altra? Siamo proprio sicuri che appena scelta una, l'altra si escluda automaticamente? E da che cosa lo deduci? Spesso la soluzione sta nel guardare i problemi da un'altra prospettiva, quindi non più nella chiave da te proposta: scegliere vs non scegliere, oppure scelgo l'uno vs scelgo l'altro. Capire quale potrebbe essere una diversa prospettiva richiede un lavoro più approfondito che mi è impossibile fare qui per iscritto.
7) "se scelgo il lavoro potrei perdere lui, se scelgo lui potrei avere difficoltà nel lavoro": non a caso prima ho parlato di paura. Qui il verbo potere utilizzato al condizionale conferma la paura di perdere l'una o l'altra cosa qualora tu dovessi compiere una delle due scelte. Potresti sì, ma potrebbe anche darsi di no. A priori non lo puoi sapere. A questo punto potresti rispondermi: "Sì, ok, ma non mi va di rischiare per scoprirlo". Allora forse il problema non sta nello scegliere l'una o l'altra opzione, quanto piuttosto invece nell'affrontare il rischio. E' un problema di insicurezza: se rischi che cosa temi di perdere? E se non rischi cosa guadagni? L'insicurezza è confermata peraltro dal fatto che quando il tuo lavoro viene messo in discussione e  non raggiungi i risultati attesi dove vai a lamentarti? Da tuo marito, che è il tuo porto sicuro: la persona con cui sai che puoi sfogarti in libertà, perché lui ti accetta così come sei, perché è tuo marito, se no non ti avrebbe sposato. Con lui ti senti sicura, come ti senti sicura quando padroneggi al meglio il lavoro. Sarebbe utile che il marito sospendesse le rassicurazioni, perché anch'esse mantengono il problema.
E quando parli di difficoltà, si tratta di difficoltà in qualche modo superabili? Che faresti di fronte a queste difficoltà se dovessi incontrarle? Hai già vissuto situazioni simili in passato, dove sei riuscita a superare con successo le difficoltà? Se sì, ripensa come hai fatto allora: quella strategia potrebbe tornarti utile anche in questo caso. Tieni presente che le difficoltà nella vita ci saranno sempre. Pensare di non averle è tanto utopico quanto l'idea tua e di tuo marito che possano esistere matrimoni senza discussioni!
8) "un altro mio difetto: pretendo troppo da me stessa e non ottengo i risultati che vorrei": è forte l'autocolpevolizzazione, perché lo vedi come un difetto (presente anche prima dove dicevi "un mio problema è che vivo sospesa...": e pensa che il vivere sospesi senza mai sbilanciarsi nel fare una scelta è una condizione esistenziale fortemente voluta da alcuni perché non vincolante!). Ma siamo sicuri che se non raggiungi i risultati sperati sia davvero da attribuire a te la colpa e non a una situazione oggettivamente complicata? Per scoprirlo, chiediti come l'avrebbe gestita qualcun'altro al posto tuo. Sarebbe riuscito meglio o peggio? Se rispondi "Penso che l'avrebbe gestita nel mio stesso modo o peggio" probabilmente l'insuccesso è da attribuire principalmente alla situazione. Se dici che forse sarebbe riuscito meglio, chiediti in che modo avrebbe saputo fare meglio di te, con quali risorse? Potrebbe essere utile anche a te acquisire queste risorse per fronteggiare meglio le sfide lavorative che di giorno in giorno si presentano.
Va ricordato che è utile vedere nel problema una risorsa e sicuramente questo pretendere molto da te stessa, come nel caso dell'ambizione di tuo marito, ti ha portato a raggiungere risultati e successi importanti che altrimenti non avresti ottenuto. Fai mente locale dei tuoi successi. Anche per te è utile l'esercizio di esternalizzazione sopra consigliato.
Un'altra nota: le aspettative spesso ci ingabbiano, soprattutto quando sono molto elevate, perché se sono molto elevate e sopra la nostra portata è facile che non si realizzino, e questa non realizzazione si ripercuote negativamente su di noi, spesso facendoci sentire come delle persone incapaci. Ma il problema non è che  siamo incapaci, ma che avevamo delle aspettative troppo elevate!
Infine, se ti riconosci come problema il fatto di pretendere troppo da te stessa, è utile che tu inizi a immaginare come potresti comportarti come se questo problema non lo avessi. Cosa faresti tu se pretendessi meno da te stessa? Come ti muoveresti, come ti vestiresti, come parleresti e come penseresti? Visualìzzati in questa nuova veste e poi metti in atto quello che hai immaginato.
9) discutere con il marito quando le cose vanno male al lavoro è una "tentata soluzione disfunzionale" (uso il gergo della scuola strategica). E' utile in questo caso "prescrivere il sintomo": discuti con tuo marito categoricamente ogni giorno, per 20 minuti esatti, non un minuto di più e non un minuto di meno, sia che le cose al lavoro vadano bene, sia che le cose vadano male. Se hai delle cose in più da dire che non stanno dentro i 20 minuti, rimandale al giorno dopo, è importante non sforare i tempi. Facendo questo esercizio scoprirai delle cose interessanti.

Conclusioni.

Le discussioni fanno sembrare due persone più lontane, perché apparentemente sembra che nella diversità di opinioni non ci possa essere un incontro. Invece, come abbiamo visto, pur nella diversità di opinioni, si possono rintracciare obiettivi comuni (discutiamo per trovare una soluzione insieme al problema) e perfino processi mentali simili o speculari che interagendo tra loro alimentano il problema. In questo senso e nella voglia di mantenere viva la relazione essi sono però anche vicini: se non tenessero minimamente alla loro relazione, probabilmente avrebbero già preso entrambi strade diverse, ognuno seguendo le proprie ambizioni.
Grazie a chi mi ha seguito fin qui nella lettura, spero che da questa storia abbiate tratto spunti interessanti per voi e capito qual è il mio modo di fare terapia. Vi sarà chiaro, dopo tutte queste righe, che uno psicoterapeuta degno di questo nome deve prima di tutto riuscire a dire molto su poche cose, su pochi indizi che gli vengono forniti. E la capacità di anticipazione è altrettanto fondamentale e utile per prevedere possibili implicazioni e scenari e immaginare di conseguenza anche in anticipo mosse di risoluzione strategica del problema.

martedì 18 marzo 2014

Aiuto, sono single! Che fare? (seconda parte)

Atteggiamenti dell'altro/a che possono costituire ulteriore ostacolo in una relazione

Forse leggendo la prima parte dell'articolo (che trovi qui: http://psichecuore.blogspot.de/2014/03/aiuto-sono-single-che-fare.html) non ti sei riconosciuto/a nelle difficoltà che ho elencato: questo potrebbe essere legato ad alcuni particolari atteggiamenti dell'altro che costituiscono un'ulteriore difficoltà all'instaurarsi di una relazione stabile. Vediamone alcuni.


a) Nella fase di frequentazione e conoscenza reciproca lui/lei a mette in atto senza accorgersene gli errori di cui abbiamo parlato nel precedente articolo e questo ti fa dubitare del fatto che lui/lei possa essere la persona giusta per te. 
Possibile soluzione: parlagliene con il dovuto tatto e discutete insieme di ciò che dovrebbe essere la relazione secondo ciascuno di voi: confrontate le aspettative e capite se potete andare insieme da qualche parte. Se le aspettative non combaciano, la scelta successiva migliore è darsi tempo per continuare a frequentarlo/a e cogliere ciò che di buono la persona ha da offrirti, senza forzare un cambiamento nè da parte tua nè sua. Il cambiamento potrà avvenire successivamente quando avrete stabilizzato la relazione e solo se entrambi sarete disposti a venirvi incontro. Se aspettative, idee e valori legati alla relazione di coppia non combaciano, puoi anche pensare di lasciar perdere quella persona, ma ricorda che spesso questa è una scelta legata alla paura del fallimento e all'insicurezza. Più costruttivo è provare, nonostante qualche difficoltà, in modo da non avere rimpianti più avanti.

b) Lui/lei ti dice: “il problema non sei tu, ma sono io, che non mi voglio impegnare in una relazione seria” . Potrebbe venirti voglia o di sottostare alle sue esigenze o di restargli comunque accanto nella speranza di farlo cambiare con la tua presenza. In entrambi i casi non otterrai molto: nel primo caso (cioè sottostando alle sue esigenze) dopo l'entusiasmo iniziale potresti stufarti di vedere che sei sempre tu a venirgli/le incontro e mai lui. Nel secondo caso (speranza di farlo cambiare) sappi che le persone non cambiano mai facilmente e soprattutto non cambiano se non sono esse stesse le prime a volerlo.
Soluzione: Se il tuo obiettivo è una storia seria, lascia perdere questo tipo di persone, a meno che tu riveda ciò che vuoi concordando che anche tu vuoi solo un'avventura, atteggiamento comprensibile e condivisibile se veramente sei sicura di volere questo, ma meno utile e alla lunga frustrante se il tuo obiettivo è una storia seria. In ogni caso le due cose (storia seria e avventura temporanea) non si escludono: si può anche decidere di avere una storia di solo sesso, in attesa di iniziare una relazione seria e stabile. Ognuno trova la soluzione più adatta a se stesso.

c)Lui/lei ti dice: “non riesco a dimenticare il/la mio/a ex”. Si possono fare discorsi analoghi al punto precedente: non sperare di essere proprio che tu gli fai cambiare idea subito. L'abbandono richiede un po' di tempo per essere “metabolizzato”. Se al momento in cui lo/la incontri per la prima volta ciò non è avvenuto, metti in conto che prima di pensare a qualcun'altro/a (cioè a te, per esempio) dovrai aspettare che questo tempo passi. Certo, la tua vicinanza da amico/a può aiutarlo/a a dimenticare l'ex, ma comunque non è una garanzia di successo: lui/lei potrebbe continuare a vederti solo come “l'amico/a che lo ha aiutato in un momento di difficoltà a dimenticare l'ex”, ma nulla di più.

d) Lui/lei ti dice: “per me sei solo un amico/a”: ti sta comunicando che si trova bene a parlare e a passare del tempo con te, ma per qualche ragione non vuole andare oltre l'amicizia, forse perché ci sono aspetti di te che non gli/le piacciono, o forse non la/lo attrai dal punto di vista fisico o potrebbe avere qualcun'altro per la testa o per altri timori personali. 
Soluzione generale: In ogni caso, tutte le volte che una persona ti dice: “Per me sei solo un amico” conviene approfondire e chiederle quali sono le ragioni per cui afferma ciò, perché questo può farti capire quali margini di azioni puoi avere per farle cambiare idea.
Se manca l'attrazione fisica forse la frase è definitiva: se non gli/le sei piaciuto/a in questo senso fin da subito, è difficile che cambi idea. 
In tutti gli altri casi, potrebbe anche cambiare idea, ma dipende da come agirai. Per far sì che cambi idea, potresti fargli notare aspetti di te che non conosceva o smentire quelli che non gli piacciono facendo qualcosa di diverso. 
Se ha un'altra persona nella testa, bisogna vedere come andrà a finire con lui/lei: se la sua è solo una fantasia irrealizzabile, su di te può anche cambiare idea. Ma se l'altro/a è una persona che conosce, che sta frequentando bisogna vedere come andrà a finire tra i due.
Se a bloccarla/o sono altri timori personali, affinché cambi idea sull'iniziare una storia con te, è importante che la persona li superi, magari anche con il tuo supporto.
 Inoltre il fatto che ti veda come un amico/a è anche una questione di tempismo: se vi frequentate da diversi mesi o anni e tu non hai ancora preso l'iniziativa (soprattutto se sei un ragazzo) o se non hai mostrato sufficiente disponibilità (soprattutto se sei una ragazza) può darsi che ormai la persona si sia rassegnata all'idea di vederti solo come amico/a. Ma puoi ancora stupirlo/a con comportamenti che non si aspetta (di disponibilità o iniziativa), smentendo l'idea che si è fatta di te. Ricorda però che a volte smentire un'idea di te che si è radicata nel tempo non è una passeggiata.

e) Lui/lei ti dice: “Mi interessi ma... non riesco a fidarmi delle persone, quindi non voglio una storia con te”. Probabilmente ti trovi davanti a una persona che si è sentita tradita o presa in giro in passato da qualcuno, magari anche più di una volta. Alla luce di ciò, il suo vissuto di mancata fiducia è perfettamente comprensibile. Quando si hanno esperienze negative ripetute si tende a pensare in termini assolutistici: “Se le persone che ho conosciuto in precedenza erano così, lui/lei sarà altrettanto”. 
Soluzione: Questa situazione richiede tempo, pazienza e molta comprensione da parte tua per essere risolta. Il tuo compito sarà quello di rappresentare per lui/lei un'eccezione. La prima cosa da fare è capire quali comportamenti e atteggiamenti dei suoi ex l'hanno spinto/a a trarre quella conclusione. Compreso questo, sai che non dovrai fare altrettanto. Se anche con il tuo aiuto la situazione non migliora, potrebbe essere una buona idea rivolgersi a un professionista in grado di ridimensionare questi pensieri.

f) Lui/lei è molto geloso (anche se non state ancora insieme): ti scrive continuamente, vuole spesso sapere dove sei, con chi e a che ora torni. Se da un lato questo ti fa capire che tiene a te, d'altro canto pensi anche che sia indice di scarsa fiducia nei tuoi confronti. Quasi ti senti mancare l'aria... 
Riflessione e soluzione: una relazione d'amore non dovrebbe mai darti l'impressione di essere asfissiante: se ciò accade, fagli notare che per te questo è troppo e parlatene insieme. Cerca di capire quali ragioni ha di essere così geloso/a. Forse si potrebbero ricondurre al punto precedente (ha avuto brutte esperienze con partner precedenti).

g) Lui/lei frequenta contemporaneamente altre persone. Anche se da un lato la cosa potrebbe infastidirti,  prova a capire le sue ragioni: con te non ha ancora preso un impegno fisso e definitivo, allora cerca di massimizzare la possibilità di conoscere anche altre persone. 
Soluzione generale: lascia che si prenda i suoi spazi per chiarirsi le idee. La sua scelta definitiva probabilmente dipenderà da quanto ciascuna persona che frequenta corrisponde alle sue aspettative. Chiedergli allora quali sono le sue aspettative potrebbe risultarti utile. Se non accetti che lui/lei esca con più persone per poi decidere, puoi anche scegliere tu di chiudere questo gioco prima di lui/lei facendoti da parte.
Attenzione: questa persona potrebbe anche non amare le scelte e di conseguenza non farne nessuna, rimanendo con tutti i suoi frequentatori in una situazione di ambiguità (il fatto che dopo molto tempo non si decida è un segnale di ciò). Chiediti se vuoi davvero stare con una persona che segue tale logica.

h) in passato ha tenuto in altre relazioni comportamenti che non ti piacciono (ad esempio tradire, andare a puttane, mentire, prendersi gioco di qualcuno, avere più relazioni in contemporanea, usare qualcuno solo come oggetto per il proprio piacere sessuale): il più delle volte in questi casi vale il detto “Il lupo perde il pelo, ma non il vizio”. Forse lui/lei riesce a trasmetterti bene l'idea che con te è diverso, ma fai attenzione: lui/lei potrebbe ricadere anche con te nei comportamenti avuti in passato e che disprezzi. 
Soluzione: Chiediti allora: “se dovesse ricaderci, io come la prenderei? Sono disposto/a a rivedere le mie idee e ad accettare quei comportamenti?”. Chiarisci fin da subito insieme a lui/lei quali comportamenti puoi tollerare e quali no. Sul fatto di voler cambiare i suoi comportamenti a tutti i costi, ho già speso molte parole in precedenza, quindi non mi ripeto.
Se mente e lo sa fare bene, apparendo perfetto ai tuoi occhi, ma comportandosi in modi che non ti piacciono alle tue spalle, forse ci vorrà molto tempo prima che tu lo scopra. E quando lo scoprirai come reagirai? Anche qui sta a te capire se puoi soprassedere o meno. Se si ama molto una persona le si può perdonare davvero tutto. Fino a che punto si può amare un'altra persona, soprassedendo ai propri valori personali è una questione su cui non mi addentro, perché è molto personale e ognuno ha una sua risposta a tal proposito. C'è anche chi preferisce non rinunciare ai propri valori e per questo preferisce chiudere una relazione o una frequentazione.

i) Dopo una piacevole serata passata in compagnia, conclusa con l'accordo di rivedersi o risentirsi nei giorni successivi, lui/lei non si fa più vivo: può darsi che in questa situazione tu inizi a chiederti che fine ha fatto quella persona, che ne è del bel feeling che si era creato tra voi, come mai non ha tenuto fede all'accordo preso... Magari ha avuto impegni improvvisi. 
Soluzione: La cosa migliore da fare è non stargli addosso, ma lasciargli/le i suoi spazi. Se gli/le interessi ti cercherà lui/lei. Cercalo/a tu solo dopo diversi giorni che non si fa vivo.

Ho discusso qui gli atteggiamenti e comportamenti problematici che più spesso possono verificarsi, sperando di esserti stata di aiuto. Potrebbero esserci anche altri modi di fare e di pensare problematici dell'altra persona, ma i possibili “copioni” nelle relazioni amorose possono veramente essere infiniti e non basterebbe una vita per scriverli! Se ne hai vissuti altri problematici ti invito a scrivermeli e a parlarmi di come li hai affrontati tu.

giovedì 6 marzo 2014

Aiuto, sono single! Che fare?

Spesso mi capita di sentire persone che si lamentano che “alla loro età” (solitamente compresa tra i 25 e i 35 anni) non sono ancora riuscite a trovare un/a partner stabile. Si chiedono e mi domandano: “Come è possibile che non l'ho ancora trovato/a? Come posso fare a trovarlo?”.
Di seguito proporrò una riflessione sull'età e alcune domande che puoi farti riguardo a come hai condotto finora la ricerca per trovare una storia seria.
Su questo tema c'è molto da dire, avremo modo di approfondirlo anche più avanti e sto già preparando una mini-guida con i punti salienti in proposito. Di seguito un riassunto della guida.

1. Riflessione: l'età sembra essere un aspetto determinante a giudicare dalle persone che si lamentano il problema. Perché la lamentela di non trovare un partner è così frequente tra i 25 e i 35 anni e soprattutto è frequente per le donne più che per gli uomini? In prima battuta verrebbe da dire che se è solo l'amore ciò che cercano, l'età è un fattore di poco conto, perché si sa, l'amore non ha età: può nascere a 10 come a 60 anni. Vedere che alcuni personaggi famosi come Madonna o J.Lo hanno partner di 20 o più anni più giovani di loro dovrebbe farti riflettere sul fatto che magari l'amore lo troverai sì, ma più avanti nel corso del tempo, magari con una persona molto più giovane di te.
Il problema dell'età connesso al trovare un partner può diventare invece più rilevante se non è solo l'amore in sè l'obiettivo, ma il desiderio di avere figli. Ecco allora che soprattutto per le donne questa spinta biologica si manifesta con tutta la sua forza.
Perché la lamentela non si manifesta prima o dopo questa fascia di età? Presto detto: prima dei 25 anni le persone hanno principalmente voglia di divertirsi, sperimentarsi, interagire con partner anche diversi. Il costruirsi una propria identità che passa anche per le diverse esperienze e relazioni è la priorità che di solito le persone di quest'età antepongono al bisogno biologico di avere figli. Dopo i 35 le persone invece o iniziano a rassegnarsi all'idea di non trovare un partner oppure assistiamo a una sorta di “seconda adolescenza”: iniziano a buttarsi nei contesti più disparati per conoscere nuove persone, finché, a forza di cercare, trovano qualcuno che fa al caso loro.
La lamentela di non aver ancora trovato l'Amore è ricorrente tra i 25 e 35 anni perché nella società odierna europea è opinione diffusa che quella sia la fascia di età in cui si compiono scelte determinanti della propria vita (lavorativa e relazionale). Anche se non ne si è del tutto consapevoli, le opinioni della società condizionano molto il nostro modo di sentire, pensare e agire. Questo si concretizza nel fatto che vi sono persone che si lamentano e sentono forte l'esigenza di trovare un partner anche per emulazione, per non "rimanere indietro" rispetto agli amici, colleghi e coetanei che hanno già un partner o che stanno mettendo su famiglia.

2. Alcune domande fondamentali da porsi: partiamo da te
Alla domanda “Come è possibile che non ho ancora trovato l'Amore?” rispondo con altre domande:
-Come l'hai cercato finora? Dove l'hai cercato? Talvolta il problema nasce proprio da qui: le strategie di ricerca e i luoghi di ricerca potrebbero non essere adeguati alla persona che credi di essere e a chi cerchi.
 Idee per superare questa difficoltà: amplia i contesti di ricerca, coinvolgi chi conosci, liberati dei canoni che dovrebbe avere l'ipotetico fidanzato/a.

- Dove hai trovato i principali ostacoli nel cammino di ricerca dell'amore?
a) nell'incontrare una persona nuova? Se sì, vedi il punto precedente.
b) Nell'iniziare una conversazione con lui/lei? 
Idee per superare questa difficoltà: se lui/lei ti viene presentato da qualcuno parti con domande ampie, ad esempio cosa le piace fare nel tempo libero o nella vita. Ascolta ciò che dice, sii curioso/a, ma non troppo invadente, dagli fiducia quando ti parla, intervieni aggiungendo elementi o domande a ciò che ha detto. Dagli spazio e non prendertelo per parlare solo tu per la maggior parte del tempo. Sii te stesso/a.
c) Nell'invitarlo/a fuori?
Idee per superare questa difficoltà: se sei indeciso sul posto in cui invitarlo/a chiedile/gli o informati su che posti le/gli piacciono. Ricorda che se c'è già interesse da parte sua, il posto è indifferente: l'importante per lui/lei sarà stare con te.
d) Nel suscitare il suo interesse? 
Idee per superare questa difficoltà: prestale/gli attenzione, mostrati entusiasta per ciò che fa e sostienilo/a. Crea un alone di mistero intorno a te, in modo che per curiosità sia lui/lei a cercarti.
e) Nel riuscire a sedurlo/a?
Idee per superare questa difficoltà: usa a tuo favore il linguaggio del corpo, che farai sembrare apparentemente ambiguo e casuale (sguardi, gesti, sfioramenti apparentemente casuali). Cura il tuo aspetto valorizzando gli aspetti positivi: anche l'occhio vuole la sua parte. Suscita la sua gelosia mostrando interesse per qualcun'altro/a e non più per lui/lei.

3. Potenziali errori da evitare:
-atteggiamento del tipo "io ti salverò"/fare l'eterno amico/a consolante/voler cambiare una persona a tutti i costi.
-fare il pallone gonfiato dandosi un sacco di arie.
-correre troppo/concedersi subito/messaggi e richieste sessuali troppo esplicite e premature.
-vivere dei propri sogni e illusioni.
-non farsi mai trovare/fare l'indeciso.
-pensare più al tuo tornaconto che al benessere dell'altro.
-atteggiamento rigido sulle proprie posizioni e di scarsa apertura e adattamento verso l'altro ( critiche ripetute all'altro o chiusura nelle proprie posizioni, scarsa comunicazione).
-avere poca fiducia nelle proprie possibilità.

Infine ricorda: ci sono vantaggi anche nell'essere single, come ad esempio la libertà di fare ciò che vuoi senza rendere conto a nessuno! Vi sono persone che sono single e stanno benissimo proprio per questo motivo e che ritengono che sia meglio stare single perché, dal loro punto di vista, avere una relazione con qualcuno implica anche modificare i propri atteggiamenti e gestire le piccole difficoltà quotidiane legate al rapporto, cose che essi non sono disposti a fare. Inoltre esistono anche persone che in coppia si lamentano del proprio partner e preferirebbero tornare single: anche questo atteggiamento dovrebbe farci riflettere. Si potrebbe concludere che l'essere umano, per sua natura, spesso cerca ciò che non ha  e, quando lo ha raggiunto, non sempre è soddisfatto, così cerca continuamente qualcos'altro che possa appagare il suo desiderio, in una ricerca senza fine, perché per definizione il desiderio non è mai pago.

Prossimamente parleremo degli atteggiamenti potenzialmente problematici della persona che ti interessa.

E tu, quali difficoltà hai trovato nella ricerca dell'Amore? E come le hai superate?
Raccontamelo nei commenti!

venerdì 24 gennaio 2014

Gelosia e paranoia amorosa (Riflessioni da e sul convegno Discorso amoroso e psicoterapia)

Quando si parla di relazioni amorose, non possiamo trascurare un sentimento che a volte compare: la gelosia. Di seguito vedremo come definirla, che forme assume e come scongiurarla.



E' diffusa l'idea che la gelosia sia un tratto caratteriale, ma essa invece emerge dalla relazione tra i due partners: infatti una stessa persona può mostrarsi gelosa in una relazione, ma non in un'altra. La gelosia è un sentimento che ha finalità comunicative, poiché chi la esprime invita l'altro ad ascoltare.
Non è necessariamente negativa, anzi può avere risvolti pragmatici utili per la coppia: rassicurazione, riaffermazione della passionalità che si nutre del desiderio ed è un indicatore di quanto si tiene all'altro. 
Non vi è gelosia se entrambi non condividono l'idea di esclusività (lui/lei è l'unico/a per me). La gelosia esprime di fatto la paura di perdere l'altro: ciò secondo Hilman rappresenterebbe la controparte dell'eros: non vi è amore senza gelosia. Per alcuni la gelosia, infatti, è importante, se non fondamentale, come dimostrazione di quanto si tiene all'altra persona.
La gelosia e le dinamiche di rivalità che essa innesca possono rivelarsi utili anche nel corteggiare o (ri)conquistare una persona: quante volte abbiamo sentito dire la frase: "Se vuoi che ti noti, fallo ingelosire"? Ed ecco che per attirare l'attenzione della persona amata si inventano storie che ci vedono impegnati con altre persone con l'effetto di aumentare nell'altro la curiosità e il desiderio. Il desiderio, infatti, è mantenuto dall'incertezza: più l'altro è sfuggente e più lo desidero.
La gelosia emerge da alcuni processi psicologici: in particolare, la gelosia nasce quando vengono violate le aspettative che si hanno su come dovrebbe comportarsi il mio lui/la mia lei con me e con altri e si configura come un modo per ripristinare il controllo quando qualcosa nella relazione sta diventando incerto.
La gelosia è condizionata dalla cultura: vi sono differenze da una nazione all'altra nel definire cosa è lecito in una relazione e cosa no. Vi sono anche differenze tra nord e sud Italia: pare che al sud gli uomini siano più gelosi e possessivi delle loro partner. Forse questo potrebbe essere legato al fatto che le donne del sud tendono ad essere più aperte con tutti (rispetto alle donne del nord) in un senso non malizioso.

Quando la gelosia diventa problematica? Quando infrange codici o regole condivise nella coppia, quando si scontra con le norme interne della persona "accusata", quando limita la libertà personale, quando assume la forma di una paranoia (cioè di pensieri ricorrenti e immotivati secondo i quali l'altro compie azioni, che non dovrebbe svolgere, ai nostri danni) o diventa pervasiva, quando vi è una frattura emotiva e si ha la sensazione che essa potrebbe compromettere la relazione. Se tutto ciò non si verifica, può anche essere che due persone gelose vivano bene la loro relazione con le loro reciproche gelosie. In altre parole: un problema è tale solo quando uno dei due lo riconosce come problema.

La logica della paranoia amorosa e i suoi effetti: per quanto si cerchi di mostrargli il contrario, per quanto si cerchi di far comprendere al paranoico che i suoi pensieri non sono motivati, egli tenderà sempre e comunque a ignorare gli elementi che disconfermano la sua teoria (teoria che potrebbe essere: "Lei mi tradisce") e a dare valore agli indizi che invece la confermerebbero ("l'ho capito perché con me non parla più come una volta", "l'ho capito da come parla e sorride a quella persona"). In questo modo, il paranoico costringe il partner a porsi in una posizione di simmetria, cioè costringe anche l'altro a confermare, sconfermare o giustificare le sue supposizioni. Di solito le paranoie amorose ottengono l'effetto opposto a quello per cui vengono create: invece di far riavvicinare il partner, egli scappa perché attraverso la paranoia viene rinviata all'altro l'idea di persona sì desiderabile, ma non affidabile. Egli, che non si sente tale, fugge perché sente di non aver fatto nulla di male ai danni del suo partner, eppure l'altro non lo ritiene affidabile. E fugge anche se non ha mai preso in considerazione la fuga fino a quel momento. Talvolta il paranoico stesso suppone già che la relazione finirà male, ma come finirà non gli interessa, spesso l'unica cosa che vuole è la rivalsa. Il paranoico concorre con la sua negatività a decretare la fine della relazione.

Le soluzioni che mantengono il problema: principalmente chi è geloso mette in atto due tipi di strategie per verificare se i suoi dubbi sono fondati o meno: l'ipercontrollo e la richiesta di rassicurazioni del partner. Per ipercontrollo si intendono tutte quelle modalità che permettono ad esempio di verificare dove, in che tempi, con chi la persona si trova: chiamate al cellulare, farsi chiamare dal telefono fisso del posto di lavoro per verificare che la persona si trovi proprio al lavoro, controllo periodico delle email e degli sms per vedere con chi parla e di cosa parla, interrogazioni multiple agli amici per verificare che la versione che ha fornito di dov'era la notte precedente sia vera... Sia l'ipercontrollo che le rassicurazioni che il partner dà in realtà mantengono il problema: se si vuole superare la gelosia perciò bisognerebbe sospendere entrambi chiedendo al partner accusato di non dare più rassicurazioni e smettendo di controllare. Inoltre si rivela utile in terapia, soprattutto per i casi di paranoia amorosa, prescrivere il sintomo, cioè fare in modo che la persona sperimenti lo stesso sintomo che lamenta (in questo caso la paranoia) ma in una cornice prestabilita (nei modi, nei tempi, nello spazio) dal terapeuta (esempio: scrivi per filo e per segno le peggiori fantasie che hai sul fatto che la tua ragazza ti tradisca). Ciò ottiene l'effetto di arginare il pensiero pervasivo e trabordante.

Non tutte le gelosie si somigliano tra loro; principalmente ne esistono tre tipi:
-il mondo viene percepito come minaccioso e instabile, per cui non mi preoccupo di quello che fa il mio partner, ma cosa potrebbero fare gli altri con lui/lei ("io mi fido di lui, so che non mi tradirebbe mai, ma sapendo quanto è affascinante, chi mi garantisce che le altre non provino a sedurlo?"). In questi casi si tende a generalizzare il proprio punto di vista (ad esempio: quanto può piacere a me una certa persona) supponendo che anche gli altri la pensino come me.
-è il partner stesso quello di cui non mi fido e che considero instabile ("quanto più lei si chiude, tanto più ho motivo di controllarla, perché significa che mi sta nascondendo qualcosa" oppure: "La mia ragazza fa la civetta con gli altri"): si tende ad attribuire un senso malizioso ai comportamenti di per sè neutri del partner (ad esempio l'uscire di casa senza la sua fidanzata/o).
- la gelosia emerge quando io stesso sono sfiduciato nei miei confronti: non mi sento all'altezza del mio partner e la gelosia è un modo per richiamare l'attenzione. Non sentendomi all'altezza dell'altro, cerco modi che mi facciano capire come l'altro mi vede e come potrei pormi al suo livello ("tu che sei così sicuro di te e indipendente, come fai a stare con una come me che non sa fare nulla senza l'aiuto degli altri?"). Allora sono gelosa, perché penso che prima o poi arriverà qualcuno migliore di me che potrà portarmelo via, perché più adatto a stare al suo livello. Il problema è che io non sono sicuro di me stessa/o.

Identificare a che tipo di gelosia siamo di fronte permette di comprendere i processi psicologici sottostanti che la generano e sui quali si dovrà far leva per superarla. Nel primo caso si lavorerà per ottenere una percezione più fiduciosa nei confronti degli altri e puntando sul fatto che i pensieri personali non sono generalizzabili. Nel secondo caso si cercherà di eliminare il senso malizioso dagli indizi di per sè neutri. Nel terzo si lavorerà sulla percezione di se stessi, sul senso di sicurezza personale cercando di eliminare il senso di paragone costante. In altre parole: sapere quali processi psicologici mantengono i problemi ci avvantaggia e ci permette di capire su quali aspetti puntare per smagnetizzare i nodi problematici.

Che cosa succede nelle coppie in cui si concorda che non esiste la gelosia? Vi è comunque una regola condivisa, ad esempio: ognuno può andare a letto con chi vuole. Ogni coppia stabilisce la propria regola. Una variante potrebbe essere: ognuno può andare a letto con chi vuole, basta che lo dica all'altro e che l'altro sappia quando e dove ciò accade. Questo è ciò che avviene ad esempio quando una coppia di comune accordo decide di entrare in un club per scambisti: c'è un decalogo di regole da rispettare quando si entra nel club. E' come dire: "non sono geloso se posso controllarti e so quello che fai". Anche in questo caso la regola deve valere per entrambi e non è ammessa la perdita di controllo che conduca a una violazione della regola. Così come avviene nella paranoia amorosa, anche nella cosidetta coppia aperta vi è un bisogno di mantenere le regole del gioco ed entrambi sono tenuti a rispettarle. I problemi possono nascere quando nella coppia aperta uno dei due viola la regola e l'altro lo viene a sapere. Di conseguenza chi dei due si sente "tradito" dall'atteggiamento dell'altro potrebbe anche rientrare e mettere in atto i comportamenti dei tre tipi di gelosia precedentemente descritti.

Una storia: Giovanna frequenta da qualche mese un uomo. Lui è sposato e vive ancora con la moglie e i figli, anche se le dice di essere deciso a lasciare tutto per Giovanna. Per quanto lui si impegni a parole, il momento della separazione dalla famiglia tarda ad arrivare, così Giovanna inizia ad essere gelosa della moglie di lui, ritenuta da Giovanna la responsabile dei tentennamenti del marito, per il fatto che lei può stare con suo marito "alla luce del sole", stare con lui in casa e non soltanto negli alberghi, averlo non in tempi prestabiliti. Giovanna si chiede se riuscirà mai a superare questa gelosia nei confronti della moglie. Afferma che la gelosia scomparirebbe se potesse avere il suo uomo tutto per sè...
Quando si prova gelosia, si tende spesso ad attuare i confronti tra se stessi e un'altra persona (reale o immaginata) che vive la relazione con l'amato come vorremmo che lui facesse con noi. Giovanna sente precluse delle possibilità che invece sono concesse alla moglie di lui. Da qui giunge la gelosia. Giovanna percepisce la moglie come minaccia per la sua relazione (gelosia del primo tipo: gli altri sono minacciosi). La gelosia di fatto si risolverebbe solo se lei prendesse il posto della moglie. Giovanna dovrà capire se e come davvero questo potrà avvenire, e se, ciò non avvenisse, quali prospettive avrebbe su questa relazione: potrà accettare di continuare a vivere come l'amante segreta oppure la pretesa di essere l'unica donna per lui le farà comprendere che forse non è lui che potrà darle il tipo di relazione e il riconoscimento che sta cercando?
Qui il nodo centrale del problema è com'è la sua attuale relazione in contrapposizione a come la vorrebbe, e la gelosia si inserisce in questo tipo di aspettative non realizzate.


Ringrazio Diego Romaioli ed Elena Faccio per i loro contributi sul tema e per il loro apporto fondamentale per la mia formazione.

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venerdì 10 gennaio 2014

Gli autoinganni narrativi nei discorsi amorosi (riflessioni dal e sul convegno "Discorso amoroso e psicoterapia")

Quante volte abbiamo sentito le frasi: "Quella era una storia vera", "Lui era l'uomo della mia vita", "Non posso immaginare la mia vita senza di te", "Non sei più la stessa, non sei più la donna che amavo"?
Certamente queste frasi esprimono i nostri sentimenti e le emozioni che viviamo nel momento in cui le pronunciamo. Ma c'è di più...


Ogni volta che diciamo cose del genere, costruiamo una realtà di significato che è personale, cioè non è detto che gli altri siano d'accordo con ciò che affermiamo. I fatti di per sè non sono come noi li interpretiamo: riprendendo gli esempi precedenti, la storia "vera", l'uomo "della propria vita", una vita immaginata vuota e priva di senso senza la persona amata, un cambiamento inaspettato che porta a giudicare diversamente la propria fidanzata sono solo letture personali dei seguenti fatti: una storia, un uomo, una vita e un cambiamento. Tutto il resto sono aggiunte descrittive personali che derivano dalle nostre esperienze, aspettative, progetti, immagine che abbiamo di noi stessi, dell'altro e della relazione. Per questo si può parlare di autoinganni quando riteniamo che la realtà sia esattamente come noi la descriviamo. Questo processo avviene automaticamente nella nostra mente, cioè senza che ce ne rendiamo conto. Nulla di male in questo, se non fosse che, proprio per questo funzionamento automatico e spesso inconsapevole, noi a volte scambiamo i fatti con quelle che sono soltanto le nostre interpretazioni dei fatti; tutto ciò a volte è utile a mantenere una relazione e a rassicurare la persona amata dei propri sentimenti (pensiamo alle frasi: "Sei l'unica per me", "ti amo", "Sono solo tua"), ma altre volte può generare dei problemi, se non anche la fine della relazione ("Non sei più la stessa, non sei più la donna che amavo").

Essere consapevoli di questo processo di autoinganno e pensare alle implicazioni di questo tipo di pensieri e all'impatto che hanno sull'altro una volta pronunciati può essere pertanto utile a vivere una storia d'amore in maniera responsabile, a sapere riconoscere quali frasi potrebbero far male non solo all'altro, ma anche a noi e a prevenire i problemi. Fare tutto questo non è facile per tutti, come può esserlo per lo psicologo o psicoterapeuta, perciò succede che a volte nelle crisi di coppia l'intervento di un professionista si rende necessario.
In ogni caso provo a fornirvi qualche spunto di riflessione, affinché ciascuno possa diventare più consapevole di che cosa comunica attraverso i suoi discorsi.

- "Quella era una storia vera": il verbo al passato e l'aggettivo quella lasciano intendere che la storia sia finita e lontana. Probabilmente la persona non riesce a staccarsi dal passato e a fare qualcosa per riottenere le stesse soddisfazioni passate anche nelle relazioni presenti e future. Questa persona si potrebbe allora chiedere: cosa mi faceva credere che quella storia fosse vera (a differenza di altre)? Quali miei bisogni soddisfaceva? Cosa mi succede quando questi bisogni non vengono soddisfatti? Un nuovo ipotetico compagno come risponderà a questi bisogni? Riconoscere questi bisogni e condividerli con un nuovo compagno è il primo passo per instaurare una nuova relazione altrettanto soddisfacente.

- "Lui era l'uomo della mia vita": anche in questo caso il verbo al passato indica che questa storia è finita e la persona non riesce a immaginarsi con nessun'altro se non con chi menziona. Il sottinteso di questa frase è: non esiste nessun'altro che è come lui e che mi farà sentire felice come lo ero con lui. Bisogna che questa persona si renda conto che ogni persona è unica: se effettivamente incontrerà qualcun'altro in futuro, dovrà anticiparsi che questo è un'altra persona, forse le darà comunque le stesse cose di cui ha bisogno, magari gliele darà in maniera diversa, magari gliene darà altre. La persona dovrebbe superare la diffidenza che ha verso gli altri e accogliere ciò che essi hanno da offrirle. Se è l'uomo menzionato che ha scelto di andarsene e di lasciarla, una domanda provocatoria da porre alla persona potrebbe essere: "Ma come poteva essere l'uomo della tua vita, se ti ha lasciato?". Più complessa è la riflessione in caso di perdita per lutto.
Questa frase risente del mito dell'anima gemella (che risale a Platone), secondo il quale nella nostra vita esiste una e una sola persona che ci completa pienamente e con cui siamo predestinati a stare. I fatti, però, smentiscono ampiamente il mito: molte sono, infatti, le persone che nella propria vita hanno diversi amori, tutti soddisfacenti, anche se in maniera diversa.
Chi pensa in questo modo, quando prova ad iniziare una relazione con un nuovo compagno, a volte ha la tendenza a fare paragoni con quello che considerava essere l'uomo della vita: è facile che il nuovo compagno però non tolleri i continui riferimenti all'ex e, nel peggiore dei casi, potrebbe stufarsi di sentire parlare sempre di lui e per questo lasciarla. E' possibile che la persona in questione allora legga in questo comportamento la conferma alle sue teorie: "Ecco, non ha saputo capirmi e se n'è andato, è evidente che non esiste nessuno come l'uomo della mia vita". Questa persona non si accorge però che facendo continui paragoni si è autosabotata da sola: nessuno si sente a proprio agio quando viene costantemente paragonato a un'altro! Fare continui paragoni è quindi una mossa molto pericolosa.
Le domande che si può fare questa persona sono da un lato le stesse del punto precedente: cosa mi fa pensare che quello fosse l'uomo della mia vita? Quali mie aspettative e bisogni soddisfaceva? Cosa succede se incontro qualcun'altro che non potrà darmi le stesse cose?

-Riflessioni analoghe si possono fare per chi pronuncia la frase "Non posso immaginare la mia vita senza di te": anche in questo caso per la persona può esistere amore solo con la persona menzionata e se questa se ne andasse, tutto il resto perderebbe senso. Una domanda provocatoria allora potrebbe essere: "Allora come facevi a vivere prima di conoscere lei/lui?"
E' interessante chiedersi: cosa succede se chi pronuncia questa frase poi si innamora anche di qualcun'altro? La risposta è scontata: tutti i discorsi fatti in precedenza si dissolvono oppure gettano la persona in una profonda ambivalenza e crisi, perché si accorge che le certezze che aveva finora non sono più le stesse e i valori in cui credeva stanno cedendo. Allora possono sopraggiungere problemi come crisi di identità e la persona deve scegliere cosa fare e come pensare d'ora in poi.
Se una storia parallela nasce, è perché forse nell'unica relazione che credevamo così ideale, forse c'è anche qualcosa che non è idale e che non ci va bene.
Un punto importante da sottolineare: ogni discorso è vero nel momento in cui viene pronunciato, ma è sempre passibile di cambiamento nel tempo, perché le persone, e con esse i loro pensieri e modi di leggere la realtà, cambiano continuamente. Vale anche per le promesse: una promessa del tipo "Ti amerò per sempre" è sincera e sicuramente sentita dalla persona che la pronuncia nel momento esatto in cui la dice, ma spesso non ci si accorge dell'enorme responsabilità che comporta una frase del genere: garantire di poter dare lo stesso amore e mantenere gli stessi sentimenti fino alla morte è davvero un grosso impegno, reso ancora più difficile dal fatto che, come si è già detto, le persone cambiano continuamente. Inoltre, come l'amore non conosce tempo e spazio, non conosce nemmeno il principio di non contraddizione: la promessa sincera di oggi potrebbe non essere più valida in futuro. Essere consapevoli di ciò è utile per prevenire lo scoforto derivante dalla fine di un amore promesso in eterno. L'intenzione di chi dice "ti amerò per sempre" è comunque da apprezzare nel momento in cui la dice, perché mostra un impegno sincero.
Immagino che qualcuno sta storcendo il naso e ribatte: "eppure l'amore eterno esiste, conosco coppie di persone che sono state insieme tutta una vita senza lasciarsi mai!". Certo che esistono coppie del genere. Non è che queste siano immuni al cambiamento, piuttosto è lecito supporre che come loro sono cambiati nel tempo, anche la loro relazione si sia evoluta. Queste persone non solo si sono promesse l'amore, ma hanno saputo rinnovarlo ogni giorno, scegliendo di stare insieme ogni giorno, nonostante le difficoltà, gli ostacoli e le avversità che nel tempo si sono presentate, forse accogliendo sempre con curiosità, flessibilità e spirito di adattamento le novità e sostenendosi l'un l'altro nei momenti difficili.

-"Non sei più la stessa, non sei più la donna che amavo": anche in questo caso la persona non tiene in conto che nella vita si cambia continuamente. E' sottinteso che vorrebbe che la sua partner tornasse come era prima. E' utile che si chieda: quali atteggiamenti di te mi hanno deluso? cosa è cambiato? cosa mi aspettavo che non hai più? cosa volevo io da te? Posso accettare lo stesso di stare con te anche se non mi dai più le cose che per me erano necessarie? Posso modificare io le mie necessità in modo che lo stare con te sia ancora possibile? Oppure sei disposta tu ad accoscindere alle mie esigenze e fino a che punto?
Tante volte la chiave per una relazione duratura è l'adattamento e l'essere disposti a trovare insieme un compromesso. Ma non dimentichiamo che non per tutti la relazione duratura è la relazione ideale e desiderata. C'è chi vive bene solo passando da una relazione all'altra, o senza mai impegnarsi seriamente con nessuno.

(Questo articolo è frutto di riflessioni personali sugli interventi di Elena Faccio e Maria Armezzani al convegno Discorso amoroso e psicoterapia, 2013. Ringrazio le relatrici per avermi fornito interessanti spunti di riflessione).

Riferimenti bibliografici: Galimberti, U. Le cose dell'amore

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