Consideriamo queste quattro frasi:
1) “E’ morta una persona
a cui ero molto legato, ma non provo tristezza né altri sentimenti negativi, è
normale?”;
2) “Ho 20 anni e sto con un ragazzo che mi piace molto
caratterialmente ma che dal punto sessuale non mi soddisfa; ho conosciuto un
altro ragazzo e ho fatto sesso con lui, va molto bene dal punto di vista fisico,
ma non so se è il ragazzo con cui poter costruire qualcosa di serio. Non so
decidermi, vorrei stare con entrambi. Mi sento molto in colpa per questo, ma
non so cosa fare”;
3) “Ho 40 anni e sono single. Non ho mai avuto una ragazza. Vorrei
sapere se sono l’unico o se ci sono altri nella mia stessa situazione”.
4) “Ho visto su una bancarella un braccialetto che mi piace
ma devo aspettare il mio ragazzo… Non so se posso comprare il braccialetto,
perché di solito le cose me le compra lui e in cambio io devo dargliela, però
questa settimana ho il ciclo, dunque non posso soddisfarlo… per questo non so
se posso acquistare il braccialetto”.
Cosa hanno in comune le prime tre situazioni? E in cosa differisce
la quarta dalle altre tre? Scopriamolo in questo articolo.
Tutte le prime tre frasi sono tratte da storie e da
domande realmente poste a psicologi e tutte e tre riportano implicitamente il
confronto con una situazione presunta “normale”: si ritiene che sia normale
provare tristezza quando muore qualcuno, si reputa normale stare con una persona
sola ed essere monogami, si giudica normale a 40 anni avere una famiglia o per
lo meno avere una fidanzata. Le tre persone delle prime tre frasi però hanno
notato che le loro situazioni e i loro pensieri non aderiscono a ciò che
comunemente è ritenuto normale, per questo si pongono dei problemi. I loro
problemi e dubbi non scaturiscono tanto dalla situazione in sé che stanno
vivendo, ma piuttosto dal confronto che attuano con gli atteggiamenti e
comportamenti comunemente ritenuti “normali”.
Ma esattamente che cos’è la normalità? Il dizionario la
definisce così: “Condizione riconducibile alla consuetudine o alla generalità,
interpretata come regolarità o anche ordine”. In sintesi potremmo dire che si
reputa normale ciò che compie la maggior parte delle persone o anche le
abitudini che la società e la cultura ci impongono. La normalità se per alcuni
può essere rassicurante, ad altri invece può creare problemi. Chi non segue la cosiddetta normalità ha per forza un problema psicologico? Non sempre. Nei casi che ho
citato, le persone potrebbero avere una vita tranquilla, serena e
soddisfacente, ben integrata con se stessi e con gli altri anche non aderendo a
ciò che è considerato normale. Invece di proporre lunghi e articolati
interventi psicologici per riportare le persone delle prime tre frasi ad
aderire alla normalità, è più salutare per loro agire in modo da non dare
troppa importanza alla normalità e al confronto con essa, ovvero agire come essi
stessi si sentono di fare, senza preoccuparsi di quello che fa la maggior parte delle persone. Nel primo caso potremmo, per esempio, riflettere con
la persona in questione su quali significati attribuisce alla vita e alla morte:
potremmo scoprire allora che per lei vivono i ricordi della persona scomparsa,
dal defunto ha appreso tante cose che ora rivivono in lei e che per questi
motivi non vive il lutto con tristezza. Anche se la maggior parte delle persone
vive il lutto attraverso determinate fasi che prevedono rabbia, negazione,
tristezza e accettazione, non è detto che per tutti debba essere così.
Nel secondo caso, per portare la ragazza a superare il senso di colpa derivante
dalla frequentazione di due uomini potremmo chiederle (considerando il suo
desiderio forte di frequentarli entrambi): “Immaginiamo un futuro
dove tu li frequenti entrambi. Che futuro potrebbe essere? Come vedi il
rapporto tra voi tre? Che tipo di situazione viene a crearsi? Descrivila”. Le
coppie aperte e non monogamiche esistono. Ci sono persone che in tre vivono
serenamente il proprio amore, anche se sono meno frequenti della monogamia. Si
tratta di essere chiari e definire con sincerità le regole. La ragazza potrebbe
scoprire che uno dei due uomini non accetta questo tipo di regole
autoescludendosi lui stesso, e allora la sua scelta sarebbe facilitata. Ma se
non le diamo la possibilità di immaginarsi uno scenario in cui frequenta tutti
e due, ella non farà mai la sua scelta, rimanendo preda del suo senso di colpa.
Andrebbe detto poi alla ragazza in questione che almeno una persona su quattro
almeno una volta nella vita ha immaginato di stare con qualcun' altro mentre
era già impegnata in una relazione. Questi dati provengono da interviste condotte
sul tema delle relazioni attendibili e anonime. Forse questi aspetti non detti
per paura di deviare dalla normalità, non rientrano nella normalità anche
perché nessuno ha il coraggio di ammetterlo, per timore di essere giudicato
proprio in base a una presunta normalità che a volte si traduce anche in
moralità e giudizi di valore per chi non aderisce alla norma.
Sull’uomo della terza affermazione, la risposta che si potrebbe fornire potrebbe essere la seguente: basta informarlo e rassicurarlo con dati reali
sulla condizione dei single. In Italia c’è una persona single su tre, anche
dopo i 40 anni. Quindi non è certamente l’unico in quella situazione. Anzi, il
numero delle persone single sembra sia destinato ad aumentare in futuro,
secondo alcune stime. Una volta rassicurato di non essere l’unico in quella condizione,
la persona sta subito meglio.
Ma anche se si fosse gli unici a sperimentare un certo
vissuto, teniamo presente una cosa: tutto ciò che può accadere, accadrà. Per
quanto strana e insolita sia, quella cosa ti sta capitando e solo per il fatto che ti sta capitando, significa che un senso ce l'ha, ha senso per te. Il fatto che ti sta
capitando, la rende possibile e assume senso alla luce di te stesso, della tua
storia, delle tue esperienze, del tuo modo di dare senso a ciò che ti circonda.
Quella cosa unica che stai sperimentando rende te stesso quello che sei, ti rende
diverso da tutti gli altri: in questo sta la sua bellezza.
Nelle risposte che ho ipotizzato per le persone delle prime
tre frasi che cosa ho fatto esattamente? Ho ricostruito con loro un senso di
ciò che loro stavano vivendo, ho valorizzato la loro singola esperienza non
giudicandoli e non cercando di “aggiustarli” riconducendoli a una presunta “normalità”,
ma ho cercato di comprendere ciò che stavano vivendo e provando e quali erano i
loro bisogni in quel momento.
Ed ora veniamo alla quarta frase: in cosa differisce dalle
altre? Di primo acchito si rimane forse un po’ stupiti nel leggere che i due
partner hanno fondato la loro relazione nei termini di una sorta di scambio:
regali e mantenimento in cambio di prestazioni sessuali (anche se non sono rare
le persone che fondano la coppia su questi termini)… Sono certa che alcuni di
voi leggendo avranno pensato: ma l’amore in tutto questo dove sta? Ma lei non
potrebbe essere un po’ più indipendente e comprarsi da sola il braccialetto che
le piace? Al di là della particolarità della situazione e delle domande che
possono sorgere su essa, ci rimane un’evidenza: i due partner hanno trovato un
equilibrio per loro ottimale, forse si tratta di un equilibrio che non
rispecchia i canoni di una relazione cosiddetta “normale”, ma nulla toglie che
si tratta di un equilibrio che a loro due sta bene. I due paiono soddisfatti
della loro relazione, quindi chi siamo noi per giudicarli?
E voi? Avete sperimentato situazioni in cui vi sentivate in
conflitto con ciò che è considerato normale? Come avete superato quel
conflitto? Se volete, scrivetemelo nei commenti.
NB: le frasi riportate nell'articolo sono tutte tratte da storie vere. Le persone che le hanno pronunciate hanno espresso il loro consenso alla pubblicazione in forma anonima.
NB: le frasi riportate nell'articolo sono tutte tratte da storie vere. Le persone che le hanno pronunciate hanno espresso il loro consenso alla pubblicazione in forma anonima.