A volte alcune persone quando sentono un disagio o un problema, tendono spesso a identificare il problema con loro stessi, come se il problema fosse una parte di loro. Frasi come "Sono depresso", "sono insicuro", "sono ansioso" sono alcuni esempi di questo processo in cui si passa dal sostantivo (depressione, insicurezza, ansia) all'aggettivo che ci si autoattribuisce e che quindi si sente come parte di sè e della propria identità. E' bene ricordare che la persona non è il problema, al contrario il problema rimane il problema. La nostra mente spesso però non segue la logica, c'è bisogno allora di esercizi immaginativi per cogliere questo processo e per riuscire a pensare al problema come qualcosa di esterno a se stessi e non come qualcosa che ci caratterizza. Di seguito due esercizi a tal proposito.
1) L'esercizio dell'esternalizzazione, concetto già formulato dallo psicoterapeuta Michael White negli anni Ottanta: consiste nell'immaginare il proprio problema (depressione, insicurezza, ansia o altro) come un'entità esterna a sè. Il terapeuta chiederà allora alla persona di immaginare e descrivere il suo problema come se fosse un qualcosa di vivo ed esterno alla persona: un animale, una pianta, un fiore, una persona, ecc. Successivamente altre domande saranno di specificazione riguardo alla "nuova veste" del problema: come è fatto? Che aspetto ha? Che colori ha? come si muove? Come è vestito? In quali momenti si presenta?
Quali effetti terapeutici genera l'uso dell'esercizio dell'esternalizzazione? Il problema viene contestualizzato in maniera più precisa, appare alla persona come meno predominante. Inoltre, dato che la persona non lo vede più come una parte di sè, è maggiormente in grado di contrastarlo, trovare strategie per fronteggiarlo, costruire storie di sè alternative e maggiormente orientate al proprio benessere e adattamento e permette di migliorare la sua condizione senza pensare che dentro di lei ci sia qualcosa di negativo o sbagliato che dove a tutti i costi cambiare.
2) Il secondo esercizio che propongo si collega al precedente ed è legato al pensiero di James Hillman, grande psichiatra e psicoterapeuta del Novecento. L'esercizio consiste in questo: dopo che nell'esercizio precedente abbiamo individuato la nuova forma del nostro problema, viene avviato un dialogo con esso. Il terapeuta chiederà alla persona che ha davanti di ringraziare ad alta voce il problema per ciò che di utile il problema fa per lei. Questo esercizio porta a ridimensionare il problema e ad attribuirgli un altro significato, immaginandolo una cosa per alcuni aspetti utile per noi. Come sosteneva Hillman: se riconosco il mito (cioè l'immagine, la personificazione del problema) che mi agisce, questo è il primo passo per ricostruire il mio rapporto con la realtà.
Una nota per i più curiosi: ogni tecnica, ogni esercizio proposto è legato a un particolare modo di intendere i problemi psicologici. Per Hillman i problemi dell'anima, che sono oggetto del lavoro psicologico, manifestano i problemi della singola psiche alle richieste e pressioni del luogo sociale in cui il suo portatore vive e agisce, e i conflitti tra carattere, vocazione e destino sono proprio quelli tra singolo individuo e collettività in cui vive. A questo si collega la teoria che afferma che i problemi psicologici che le persone sentono, rappresentano ciò che rende ogni persona unica e diversa da tutte le altre e come tali vanno valorizzati e accolti, più che combattuti.

Un esempio di utilizzo dei due esercizi citati: di recente una persona mi ha raccontato che immagina la sua ansia da prestazione come un ghepardo in corsa. Il ghepardo, mi ha spiegato, non è stato scelto a caso: è risaputo che esso sia l'animale più veloce della savana. Nella seconda parte dell'esercizio questa persona ha ringraziato il ghepardo perché lo attiva, lo rende efficiente, in grado di dare il massimo e di puntare al raggiungimento degli obiettivi. La persona in questione punta molto al raggiungimento dei risultati e degli obiettivi e la sua ansia è legata a questo aspetto. Dopo aver personificato la sua ansia, la persona ha espresso con me il suo apprezzamento per questo esercizio e mi ha detto che gli ha permesso di vedere la sua ansia in modo diverso e più positivo rispetto a prima. E' un primo risultato importante. Il lavoro andrà avanti lavorando sul suo modo di intendere risultati, obiettivi e aspettative degli altri su quanto la persona in questione può fare in maniera efficace. L'obiettivo finale è un miglior adattamento della persona al suo contesto di vita, di lavoro e di relazioni. Ciò che mi darà la prova di un eventuale cambiamento avvenuto sarà la nuova storia che la persona costruirà su di sè e sulla ansia.
Invito chi ha letto questo articolo a provare questi due esercizi su di sé e invito chi vuole a condividere cosa ne pensa di essi.
Riferimenti bibliografici:
-Hillman James, Il codice dell'anima: carattere, vocazione, destino (Adelphi);
-White Michael, La terapia come narrazione. Proposte cliniche (Astrolabio).
Riferimenti bibliografici:
-Hillman James, Il codice dell'anima: carattere, vocazione, destino (Adelphi);
-White Michael, La terapia come narrazione. Proposte cliniche (Astrolabio).